giovedì 31 marzo 2011

ad appalto eseguito, residua solo il risarcimento del danno per equivalente:10% dell’importo a base d’asta, decurtato del ribasso da essa offerto

Dalla documentazione versata in atti risulta che la fornitura oggetto dell’appalto è in avanzato stato di esecuzione, con la conseguenza che il Collegio ritiene di non poter dichiarare l’inefficacia del contratto e di riconoscere invece alla ricorrente il risarcimento del danno.

Tale possibilità è data dall’art. 122 c.p.a. (Cons. Stato, sez. V, 4 marzo 2011 n. 1385). Ed infatti, sin dopo l'entrata in vigore delle disposizioni attuative della direttiva comunitaria 2007/66/CE (D.L.vo 30 marzo 2010 n. 53), ora trasfuse negli artt. 121 e 122 del Codice del processo amministrativo, nel caso di annullamento giudiziale dell'aggiudicazione di una pubblica gara spetta al giudice amministrativo il potere di decidere discrezionalmente (anche nei casi di violazioni gravi) se mantenere o non l'efficacia del contratto nel frattempo stipulato; il che significa che l'inefficacia non è conseguenza automatica dell'annullamento dell'aggiudicazione, il quale determina solo il sorgere del potere in capo al giudice di valutare se il contratto debba o meno continuare a produrre effetti (Tar Toscana, sez. I, 27 gennaio 2011 n. 154).

Il Collegio ritiene che la mancata declaratoria di inefficacia del contratto lo esoneri dal dichiarare l’annullamento dell’aggiudicazione, di cui è stata accertata l’illegittimità. L’annullamento dell’atto illegittimo ha una sua ratio nella necessità di eliminare dal mondo giuridico il provvedimento lesivo per il ricorrente e far venir meno la fonte degli effetti sfavorevoli alla sua sfera giuridica. Ma nel caso in cui, a seguito della valutazione di opportunità ex art. 122 c.p.a., questo giudice ha ritenuto che la ricorrente non possa comunque subentrare nel contratto, non ha alcuna utilità eliminare la fonte pubblicistica sulla quale tale rapporto privatistico si regge

Il risarcimento, che spetta alla ricorrente ai sensi dell’art. 124, primo comma, c.p.a., va commisurato al 10% dell’importo a base d’asta, decurtato del ribasso da essa offerto (Cons. Stato, sez. VI, 24 settembre 2010 n. 7132; id., sez. V, 6 aprile 2009 n. 2143); la somma così calcolata, costituendo oggetto di debito di valore, va incrementata con la rivalutazione monetaria dal giorno in cui è stato stipulato il contratto con l'impresa illegittima aggiudicataria, sino alla pubblicazione della presente sentenza (a decorrere da tale momento, in conseguenza della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma infatti in debito di valuta); spettano, inoltre, gli interessi nella misura legale dalla data di pubblicazione della sentenza di condanna fino al soddisfo effettivo.

Tratto dalla sentenza numero 2833 del 31 marzo 2011 pronunciata dal Tar Lazio, Roma

Niente “responsabilità oggettiva” per la pa

In relazione a tale aspetto deve essere preliminarmente precisato che il Collegio non ritiene applicabile alla materia oggetto della presente controversia la giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo cui la normativa comunitaria non consente di subordinare “il diritto ad ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un’amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione, anche nel caso in cui l’applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all’amministrazione suddetta, nonché sull’impossibilità per quest’ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali e, dunque, un difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata” (Corte di Giustizia CE – sentenza 30 settembre 2010, n. C-314/09). Difatti, trattandosi di un caso di imputazione a titolo di responsabilità oggettiva, si pone quale eccezione alla regola generale contenuta nell’art. 2043 c.c. che presuppone quale ordinario criterio di imputabilità il dolo o la colpa (in senso contrario, tuttavia, T.A.R. Sicilia, Palermo, II, 26 gennaio 2011, n. 146).

Difatti, l’introduzione di fattispecie di responsabilità oggettiva, pur essendo ammessa e largamente diffusa nell’ambito civilistico, dovrebbe sempre presupporre una scelta legislativa che, attraverso valutazioni di carattere sistemico, determini il criterio regolatore in ordine alla ripartizione dei costi tra i consociati nell’ambito dei danni arrecati nell’esercizio di determinate attività, soprattutto se connotate da un particolare rischio o valore sociale. Nelle specie, l’attività svolta dalla pubblica Amministrazione, essendo caratterizzata dalle finalità di perseguimento e tutela dell’interesse pubblico, non potrebbe essere considerata alla stregua di quelle attività che devono essere scoraggiate oppure devono essere assistite da particolari cautele, in ragione della loro pericolosità oppure per lo squilibrio che creano a favore del soggetto che le pone in essere in rapporto ai destinatari della stessa.

Sulla scorta delle suesposte considerazioni, si deve ammettere la possibilità per l’Amministrazione di dimostrare – fatta eccezione per il settore degli appalti pubblici – il carattere non colpevole della sua condotta in sede di richiesta di risarcimento del danno da parte di un soggetto privato presunto danneggiato.

Tratto dalla sentenza numero 858 del 31 marzo 2011 pronunciata dal Tar Lombardia, Milano

determinati comportamenti non possono essere qualificati come mobbing se è dimostrato che vi è una ragionevole e alternativa spiegazione

Come evidenziato da Cass. civ., Sez. lav., 17 febbraio 2009, n. 3785 “Per "mobbing" si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio.”.

Rileva inoltre Cons. Stato, Sez. IV, 21 aprile 2010, n. 2272 che “La ricorrenza di una condotta mobbizzante va esclusa quante volte la valutazione complessiva dell’insieme delle circostanze addotte e accertate nella loro materialità, pur se idonea a palesare "singulatim" elementi e episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza, il carattere unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro.”.

Ed ancora secondo Cons. Stato, Sez. IV, 7 aprile 2010, n. 1991 “La condotta di mobbing dell’Amministrazione pubblica datrice di lavoro, consistente in comportamenti materiali o provvedimentali contraddistinti da finalità di persecuzione e di discriminazione, indipendentemente dalla violazione di specifici obblighi contrattuali nei confronti di un suo dipendente, deve da quest’ultimo essere provata e, a tal fine, valenza decisiva è assunta dall’accertamento dell’elemento soggettivo, e cioè dalla prova del disegno persecutorio.”.

Infine Cons. Stato, Sez. VI, 6 maggio 2008, n. 2015 ha sottolineato che “Costituisce mobbing l’insieme delle condotte datoriali protratte nel tempo e con le caratteristiche della persecuzione finalizzata all’emarginazione del dipendente con comportamenti datoriali, materiali o provvedimentali, indipendentemente dall’inadempimento di specifici obblighi contrattuali o dalla violazione di specifiche norme attinenti alla tutela del lavoratore subordinato; sicché, la sussistenza della lesione, del bene protetto e delle sue conseguenze deve essere verificata, procedendosi alla valutazione complessiva degli episodi dedotti in giudizio come lesivi, considerando l’idoneità offensiva della condotta, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell’azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specificatamente da una connotazione emulativa e pretestuosa. Tuttavia, determinati comportamenti non possono essere qualificati come mobbing se è dimostrato che vi è una ragionevole e alternativa spiegazione.”.

Tratto dalla sentenza numero 528 del 31 marzo 2011 pronunciata dal Tar Puglia, Bari

la contrattazione pubblica non è un gioco a sorpresa

In materia di criteri di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la sufficienza del punteggio numerico ad integrare una valida motivazione del giudizio valutativo (in quanto consenta di risalire alle ragioni della espressione dello stesso), è solitamente affermata dalla giurisprudenza in funzione della analiticità o meno dei criteri di valutazione prestabiliti, nel senso che quanto più precisi sono detti criteri, tanto più esaustiva e perciò legittima è la motivazione in forma numerica (ex multis, Consiglio di Stato, sez, V, decisione n. 8410 del 2010).

L’espressione di detti criteri, tuttavia, non può essere riconosciuta come prerogativa (o addirittura come dovere) della Commissione, ma deve risultare dalla lex specialis perché deve precedere la formulazione delle offerte, onde dar modo alle imprese concorrenti di poter formulare le stesse nella piena consapevolezza della funzionalizzazione ai parametri richiesti, sicché la stessa enucleazione di subcriteri da parte della Commissione violerebbe la par condicio (Corte di Giustizia UE, sez. I, sentenza 24 gennaio 2008, C-532/06).

Analogamente nella giurisprudenza nazionale si è affermato che “l’art. 83, comma quarto, del Codice degli Appalti porta all’estremo la limitazione della discrezionalità della Commissione nella specificazione dei criteri, escludendone ogni facoltà di integrare il bando, e quindi facendo obbligo a quest’ultimo [cioè al bando] di prevedere e specificare gli eventuali sottocriteri”; e che “secondo la fisionomia impressa alle pubbliche commesse dalla giurisprudenza comunitaria, la contrattazione pubblica non è un gioco a sorpresa, nel quale vince chi riesce ad indovinare i gusti che la stazione appaltante manifesterà dopo la presentazione dell’offerta. Il rapporto (pur mediato dalle regole della segretezza) deve essere, in altre parole, autentico e trasparente, in modo che le offerte, una volta preventivamente indicato l’ambito degli aspetti che saranno valutati ai fini dell’aggiudicazione, possano essere consapevolmente calibrate sulle effettive esigenze della stazione appaltante” (Consiglio di Stato, sezione V, decisione n. 7256 del 2010).

Tratto dalla sentenza numero 593 del 31 marzo 2011 pronunciata dal Tar Sicilia, Palermo

Dichiarazione di inefficacia del contratto dalla data di pubblicazione della sentenza

All’accoglimento del gravame consegue l’annullamento degli atti di affidamento impugnati e - ai sensi dell’art. 121, primo comma lett. a) del codice del processo amministrativo – la dichiarazione di inefficacia del contratto stipulato fra la GESAP e la società controinteressata per la gestione del servizio in questione


In argomento il collegio osserva che le disposizioni in punto di statuizione sul contratto, recate dalla disciplina interna di recepimento della direttiva 2007/66, secondo le prime pronunce giurisprudenziali (Consiglio di Stato V Sezione 15 giugno 2010 n. 3759) sono applicabili ai giudizi in corso alla data della loro entrata in vigore (e dunque, nel caso di specie, sicuramente a far data dall’entrata in vigore del decreto legislativo n.. 53 del 2010).

Quanto alla definizione dell’ambito temporale di tale dichiarazione, ritiene il collegio che, anche in questo caso secondo un orientamento giurisprudenziale già prospettato, debba essere dichiarata l’inefficacia del contratto con decorrenza dalla data di pubblicazione della presente decisione (T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, sentenza 19 luglio 2010 n. 16834).


Tratto dalla sentenza numero 590  del 31 marzo 2011 pronunciata dal Tar Sicilia, Palermo

Il debito previdenziale di Euro 517 non comporta l’esclusione dalla procedura in quanto “non grave”

il D.U.R.C. (e quindi il requisito di assoluta regolarità contributiva) è presupposto imprescindibile per la stipula del contratto ma non per l’ammissione alla gara, dalla quale il concorrente può essere escluso solo se in precedenza ha commesso violazioni contributive definitivamente accertate (quindi non oggetto ad esempio di ricorsi giurisdizionali o amministrativi nonchè, secondo l’Autorità di vigilan-za, di condono o rateizzazione) e soprattutto ritenute gravi dalla Am-ministrazione appaltante.

In sostanza l’Amministrazione deve sì basarsi sulle attestazioni di irregolarità recate dal D.U.R.C., considerandole come dato di fatto inoppugnabile (e prevalente sull’autodichiarazione del concorrente) a meno di rettifica da parte dell’Istituto previdenziale, ma deve altresì in primo luogo accertare se sussistono procedimenti diretti a contestare gli accertamenti degli enti previdenziali riportati nel documento ed in secondo luogo valutare se la violazione, in relazione all'appalto o for-nitura in questione o alla consistenza economica della ditta concorren-te o ad altre circostanze discrezionalmente apprezzabili, risulti meno grave.

Ed è il caso di precisare che tale valutazione non incontra i li-miti posti dall’art. 8 del D.M. 24.10.2007, in quanto questa normativa regolamentare - di per sè ovviamente inidonea ad incidere su una fonte primaria quale è il Codice - è rivolta agli Istituti previdenziali e in pra-tica si limita a consentire il rilascio del D.U.R.C. positivo anche in caso di piccoli scostamenti (fino al 5%) del pagato rispetto al dovuto.

Nel caso in questione, come peraltro posto in luce nella stessa sentenza gravata, la Provincia ha espressamente ritenuto non grave l’infrazione addebitata all’Ente appellante, il quale dunque non doveva essere escluso dalla gara per questo motivo

Tratto dalla decisone numero 287 del 31 marzo 2011 pronunciata dal Consiglio di giustizia amministrativa della regione siciliana

Per alcuni servizi esiste un’ampia discrezionalità della Stazione appaltante

Trova, quindi applicazione il primo comma dell’art. 20 del de-creto legislativo n. 163 del 1006, che così recita: “L’aggiudicazione degli appalti aventi per oggetto i servizi elencati nell’allegato IIB è disciplinata esclusivamente dall’articolo 68 (specifiche tecniche), dall’articolo 65 Avviso sui risultati della procedura di affidamento) dall’articolo 225 avvisi relativi agli appalti aggiudicati)”.

l’avere pubblicato un bando in linea con la garanzia dell’evidenza pubblica, non significa che l’Amministrazione si sia vincolata all’applicazione dell’intero Codice dei contratti, bensì che ha soltanto rispettato i principi imposti dall’art. 27 del codice stesso, ossia i principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità .

Resta, quindi, rimessa all’Amministrazione ogni opportuna valu-tazione circa il termine per la presentazione delle offerte.

Tratto dalla decisione numero 282 del 31 marzo 2011 pronunciata dal Consiglio di giustizia amministrativa della regione siciliana

Il danno esistenziale deve essere provato

Non può essere accolta, invece, l’ulteriore domanda di risarcimento dei danni esistenziali e morali lamentati dagli istanti, in quanto trattasi di domanda che, asseritamente fondata sul ritardo con cui la P.A. ha ottemperato al rilascio dei terreni de quibus, non risulta assistita dalla prova concreta del danno non patrimoniale paventato, e, neppure, da un principio di prova in ordine ad eventuali ripercussioni negative del ritardato rilascio dell’immobile sull’attività professionale o sulle consuetudini di vita degli istanti.

Infatti, come ribadito anche di recente dal Consiglio di Stato (cfr. decisione Sez. VI, 18 marzo 2011 n. 1672), la pretesa risarcitoria avente ad oggetto il danno non patrimoniale - ove non si sia verificato un mero disagio o fastidio, inidoneo, ex se, a fondare una domanda di risarcimento del danno - esige una allegazione di elementi concreti e specifici da cui desumere, secondo un criterio di valutazione oggettiva, l’esistenza e l’entità del pregiudizio subito, il quale non può essere ritenuto sussistente in re ipsa, né è consentito l’automatico ricorso alla liquidazione equitativa


Tratto dalla sentenza numero 854 del 30 marzo 2011 pronunciata dal Tar Lombardia, Milano

Pagata cara da un Comune la illegittima occupazione di un fondo

In conclusione, quindi, il Comune di Meda va condannato al risarcimento dei danni in favore della ricorrente nella misura pari ad euro 127.474,47, oltre la rivalutazione e gli interessi compensativi come da precedenti punti 10) e 11), e gli interessi legali come da punto 12)


la sentenza in questione ha tratteggiato un quadro dell'azione amministrativa carente, sotto il profilo del rispetto dei diritti dell'amministrato e della tecnica dell'agire pubblico, con una sintetica ma compiuta argomentazione delle ragioni dell’illegittimità della condotta del Comune di Meda, dalla quale è del tutto lineare trarre gli elementi per la configurazione dell'illecito civile

il Collegio ritiene desumibile da tale condotta l’estremo della colpa, intesa come colpa dell'amministrazione nel suo complesso, per l’ingiustificato scostamento dagli standard di buona amministrazione imposti al soggetto pubblico dal suo stesso ruolo.

Analogamente, si deve ritenere sussistente il danno lamentato dagli esponenti, per il mancato godimento dei beni di loro proprietà, nonché, il nesso causale fra detto danno e la condotta dell’amministrazione come poc’anzi tratteggiata.

Sulla quantificazione del danno, in particolare, il Collegio ritiene di poter condividere l’impostazione seguita da parte ricorrente, che, nella memoria da ultimo depositata, ha nel complesso assolto l’onere della prova a suo carico, ancorando la stima della perdita subita per il mancato godimento dei terreni, al valore locativo degli stessi.

Tratto dalla sentenza numero 854 del 30 marzo 2011 pronunciata dal Tar Lombardia, Milano

Il risarcimento in forma specifica si concretizza nella nuova aggiudicazione a favore del ricorrente vincitore

La sua cauzione provvisoria sarà ancora valida?

Quanto alla domanda risarcitoria, parte ricorrente, nella memoria da ultimo depositata (18 febbraio 2011) afferma che “Al momento di stendere questo atto si ha notizia che né il contratto è stato stipulato né i lavori sono stati consegnati”; chiede pertanto la condanna della stazione appaltante alla aggiudicazione in proprio favore, con conseguente stipulazione del contratto d’appalto. In pubblica udienza nessuna delle parti ha rappresentato un mutamento delle circostanze di fatto, sicché tale domanda va accolta

Tratto dalla sentenza numero 792 del 30 marzo 2011 pronunciata dal Tar Sicilia, Catania

La nuova pa deve dialogare con i cittadini

A questo punto, il Collegio non può non rilevare che la omessa considerazione dell’apporto partecipativo fornito dal privato in sede di osservazioni si risolve senz’altro in un vizio invalidante del procedimento espropriativo posto in essere dalla P.a. resistente.

La partecipazione del privato al procedimento espropriativo costituisce momento culminante della dialettica procedimentale e, attraverso di essa , si realizza il principio della democrazia procedimentale .

Alla luce di questa argomentazione, la P.a. ha il dovere di valutare attentamente il contributo fornito dal privato prima di adottare la decisione terminativa del procedimento .

Il privato, del resto, si muove in una logica di tutela strenua dell’ interesse a conservare un bene giuridico già esistente nella propria sfera e, proprio per questo, è particolarmente attento a fare buon uso della garanzia partecipativa, il che significa non sprecare una occasione di utile confronto con l’interlocutore pubblico per scongiurare un pregiudizio irreparabile alla proprietà.

Quando poi il privato offre alla P.a. una soluzione alternativa che, come nella specie, risulta percorribile addirittura con minor costo complessivo per la P.a medesima, il dovere di motivare le ragioni che hanno indotto l’amministrazione ad insistere nella scelta originariamente compiuta si accentua.

Tratto dalla sentenza numero 601 del 30 marzo 2011 pronunciata dal Tar Puglia, Lecce

Positivi effetti della direttiva ricorsi

Le Stazioni appaltanti, prudentemente, in caso di ricorso, bloccano la sottoscrizione del contratto evitando così il risarcimento per equivalente

l’accoglimento del primo motivo del ricorso conduce, con assorbimento dell’ulteriore censura, all’annullamento del gravato provvedimento di aggiudicazione: viceversa la mancata stipulazione del contratto rende superflua ogni statuizione circa la richiesta di declaratoria di inefficacia del contratto medesimo e, in subordine, di risarcimento dei danni

tratto dalla sentenza numero 1860  del 30 marzo 2011 pronunciata dal Tar Campania, Napoli

lunedì 28 marzo 2011

Il Tar invia gli atti della sentenza alla Corte dei Conti per la verifica di eventuali responsabilità amministrative a carico del Rup

sarebbe contraddittorio il comportamento del Comune che, da un lato, esclude il ricorrente dalla nuova procedura di gara e, dall’altro, le continua ad affidare il servizio in via di proroga e di urgenza nelle more dello svolgimento di essa


All’esito dell’esame della fattispecie sottoposta al suo giudizio, il Collegio deve comunque rilevare che il comportamento complessivo dell’Ente, alla luce di quanto esposto in precedenza, è risultato essere caratterizzato da condizioni di forma, tempi e contenuti motivazionali di cui sfugge l’utilità sul piano dell’efficacia e dell’efficienza; ed a fronte di ciò, nei fatti, la ditta ricorrente è stata lasciata nelle condizioni di continuare a gestire il servizio (così come risulta dall’istruttoria condotta dal Collegio).

Ne deriva che sussiste l’obbligo del Collegio di trasmettere la presente sentenza alla Procura Regionale della Corte dei Conti: vanno infatti meglio accertate le esatte circostanze relative al procedimento svoltosi a partire dalla determina nr. 217/2010 e, correlativamente, va apprezzata la sussistenza di eventuali responsabilità amministrative del R.U.P. circa l’effettiva opportunità dell’autotutela così come esercitata con l’adozione della determinazione nr. 1220/10 da parte sua (per contenuto e tempistica), alla luce di quanto esposto.

Tratto dalla sentenza numero 241 del 28  marzo 2011 pronunciata dal Tar Calabria, Reggio Calabria

la richiesta di una cauzione provvisoria può costituire un << valido deterrente di possibili inadempimenti da parte di tutti i concessionari>>

Sempre con lo stesso motivo la ricorrente contesta altresì la scelta del Coni di richiedere una cauzione provvisoria e una cauzione definitiva dello stesso importo per tutte le concessioni, ritenendo di contro più congrua la fissazione di una cauzione in misura percentuale rispetto ad un prezzo base di partenza.


La censura è inammissibile in quanto volta a sindacare decisioni di merito rimesse alla esclusiva discrezionalità della stazione appaltante, le quali, nella specie, risultano tutt’altro che irragionevoli, specie se poste in relazione con l’interesse dell’Ente alla funzione della cauzione quale valido deterrente di possibili inadempimenti da parte di tutti i concessionari.

Tratto dalla sentenza numero 2694 del 28 marzo 2011 pronunciata dal Tar Lazio, Roma

domenica 27 marzo 2011

Il risarcimento in forma specifica consiste nella rinnovazione degli atti: non vi è quindi spazio per il danno patrimoniale

Quanto alla domanda risarcitoria, il collegio ritiene che nei casi, come quello in esame, di accoglimento della domanda impugnatoria per insufficienza della motivazione, che comporta l’obbligo dell’Amministrazione di riprovvedere, non vi è spazio per alcun risarcimento del danno, venendo il ricorrente soddisfatto in forma specifica attraverso la rinnovazione degli atti del procedimento e l'emendamento del vizio che li inficiava (cfr.: T.A.R. Veneto, sez. I, 14 gennaio 2005, n. 74).


Ciò in quanto in tali casi il bene della vita cui aspira il privato sarà negato o concesso nel rispetto di determinate regole, senza garanzia di conseguimento di esso; sicché, una volta conclusosi il procedimento con soddisfazione dell'interesse pretensivo sotteso o con legittima negazione dello stesso da parte di un nuovo, legittimo provvedimento, non vi è più spazio per far valere posizioni giuridicamente garantite e deve escludersi l’esistenza di un pregiudizio risarcibile (cfr.: Tar Catania, I, 17 luglio 2009, n. 1348).

Tratto dalla sentenza numero 555 del 24 marzo 2011 pronunciata dal Tar Puglia, Lecce

Cauzione provvisoria pari a 3.020 euro:eccessivo richiedere l’autentica notarile

Va considerata illegittima l’esclusione dell’impresa che non ha allegato l’autentica notarile ad una garanzia provvisoria pari a 3.020 euro

l’A.R.E.A., ha bandito una gara per l'affidamento dei lavori di manutenzione ordinaria per l'anno 2010-2011 degli immobili ubicati nella zona territoriale dell’Ogliastra;

in base al disciplinare di gara la garanzia provvisoria, laddove prestata sotto forma di fideiussione, doveva recare, a pena di esclusione, la firma del garante autenticata da notaio;

che la ricorrente è stata esclusa dalla procedura selettiva per aver presentato una garanzia fideiussoria priva della richiesta autentica notarile;

che appare fondata la censura con cui viene dedotta l’eccessiva ed ingiustificata gravosità della clausola della lex specialis recante il suddetto obbligo di autentica per violazione del principio di proporzionalità (art. 2 D. Lgs. 12/4/2006 n. 163), atteso che, pur non essendo in linea di principio precluso alla stazione appaltante richiedere che la sottoscrizione della polizza da parte del garante sia autenticata da notaio, siffatto adempimento appare nel caso concreto sproporzionato rispetto all’interesse pubblico perseguito, considerata la modesta entità dell’importo garantito (tremilaventi euro);

pertanto il ricorso va accolto con conseguente annullamento della disposta aggiudicazione provvisoria;


tratto dal Tar Sardegna, Cagliari con la sentenza numero 275 del 24 marzo 2011

Per il risarcimento del danno in giusto da ritardo bisogna dimostrare la colpa della pa

che, conseguentemente, va dichiarato l’obbligo dell’amministrazione intimata di provvedere a compiere tutti gli atti di sua competenza per concordare con la Regione Sarda l’individuazione di strutture pubbliche idonee a consentire al ricorrente di esercitare le funzioni assistenziali inerenti alla neurochirurgia;

che la domanda risarcitoria non merita accoglimento atteso che:

ai sensi dell’art. 2 bis della L. 7/8/1990 n. 241, il danno da ritardo dev’essere comunque conseguenza di un’inerzia quantomeno colposa;

la dimostrazione della sussistenza dell’elemento soggettivo incombe sul danneggiato (cfr. T.A.R. Campania - Napoli, III Sez., 10/11/2010, n. 23758);

nel caso di specie il ricorrente non solo non ha fornito alcuna prova dell’esistenza di siffatto elemento soggettivo, ma non ne ha nemmeno adombrato l’esistenza

tratto dal Tar Sardegna, Cagliari con la sentenza numero 277 del 24 marzo 2011

sabato 26 marzo 2011

Danno esistenziale per tardato l’inizio di un processo di possibile innalzamento del livello di integrazione sociale

Riconosciuti euro 2.200 quale risarcimento del danno esistenziale subito da una minore per la privazione del beneficio per 2 mesi della frequenza al Centro Diurno per persone Disabili (CDD)


Va accettata la domanda di risarcimento del danno esistenziale subito dalla minore

In proposito deve premettersi che l'area della risarcibilità del cosiddetto danno esistenziale, estremamente ridotta, è circoscritta alle ipotesi espressamente previste dalla legge ovvero ai casi di violazione di diritti inviolabili di rango costituzionale, tra i quali può senz’altro farsi rientrare il diritto di una minore, disabile grave, a frequentare un Centro Diurno per Disabili, struttura funzionale nell’ambito della quale può esplicarsi e trovare complessivo sviluppo la sua personalità con positive ricadute sul processo di inserimento nel tessuto sociale.

Il danno esistenziale, distinto dal danno biologico e consistente nei riflessi esistenziali negativi (perdita di compiacimento o di benessere per il danneggiato) che ogni violazione di un diritto della personalità produce, è risarcibile ai sensi dell'art. 2059 c.c., a condizione che il diritto leso abbia rilievo costituzionale (cfr. Cass. sez. III, 25 febbraio 2008, n. 4712)

Così configurata, ossia come compromissione del benessere e della sfera relazionale del danneggiato, tale tipologia di danno non necessita di specifica prova, potendo la relativa lesione essere risarcita anche in via equitativa (Cons. Stato, sez. VI, 8 settembre 2009, n. 5266), ossia tenendo conto di tutti gli elementi che in concreto descrivano durata, gravità, frustrazione di ragionevoli aspettative di miglioramento relazionale e della qualità della vita, eventuali effetti negativi nello standard di vita del soggetto (cfr. in termini analoghi: T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 10 maggio 2007, n. 4251).

Nel caso di specie, pur in assenza di specifica prova, si deve ritenere che il differimento della data di inizio della frequenza al Centro e, dunque, la privazione del beneficio per 2 mesi, se ragionevolmente può non aver determinato un regresso nella vita relazionale della minore, tuttavia certamente non ne ha consentito il progresso, la cui aspettativa legittimamente la minore coltivava, avendo, quanto meno, tardato l’inizio di un processo di possibile innalzamento del livello di integrazione sociale.

Per quanto precede la domanda di risarcimento del danno esistenziale in favore della minore va accolta e il relativo ammontare va liquidato, in via equitativa, nella somma di € 2.200,00 (duemiladuecento,00) oltre interessi dal dì dell’insorgenza al soddisfo, assumendo come parametro di riferimento il costo mensile del servizio, stimato dal Comune, del quale la minore non ha potuto usufruire per i mesi di settembre ed ottobre 2009

tratto dalla sentenza numero 785 del 24 marzo 2011 pronunciata dal Tar Lombardia, MIlano

PER CONTESTARE UN'ESCUSSIONE DI UNA CAUZIONE PROVVISORIA, BISOGNA PROPORRE RICORSO SPECIFICO

clamorosa "svista" dell'impresa risultata provvisoriamente aggiudicataria

viene esclusa per non aver dichiarato una condanna a carico dell'amministratore delegato, ricorre al Tar avverso tale atto ma.....si dimentica di proporre ricorso anche avverso il provvedimento di escussione della cauzione provvisoria


NB: tra i controinteressati compare anche la Compagnia di Assicurazione, garante della polizza provvisoria..............................

con riguardo al provvedimento di escussione della cauzione prestata a garanzia dell’offerta, in difetto di impugnazione dello stesso, ogni questione o domanda in merito ad esso si appalesa inammissibile ed estranea all’oggetto del presente giudizio.




la omessa dichiarazione da parte di una impresa concorrente in una gara di appalto per l’affidamento di lavori pubblici, nell’ambito della autocertificazione della esistenza di condanne a carico dei soggetti a ciò tenuti, si manifesta già come dichiarazione non veritiera, cui consegue necessariamente l’esclusione dalla gara

ciascuna società concorrente alle pubbliche gare è tenuta a dichiarare qualsiasi condanna a carico dei propri rappresentanti, a nulla rilevando il tipo di reato, la gravità, il tempo o eventuali provvedimenti nel frattempo intervenuti, non potendo il concorrente operare alcun filtro, omettendo alcune condanne sulla base di una selezione compiuta secondo propri criteri personali

Correttamente pertanto la società Autostrade escludeva dalla gara de qua l’impresa Ricorrente, per avere il suo Amministratore delegato omesso di dichiarare una sentenza di condanna definitiva a suo carico risultante dal certificato integrale del casellario giudiziale

Tratto dalla sentenza numero 2675 del 25 marzo 2011 pronunciata dal Tar Lazio, Roma

venerdì 25 marzo 2011

Illegittimo annullamento di aggiudicazione con conseguente annullamento anche del provvedimento di escussione della cauzione provvisoria

Dispone l’art. 38, comma 1, lett. i) del d.lgs. n. 163 del 2006 che sono esclusi dalla procedure di affidamento dei contratti pubblici i concorrenti “che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui sono stabiliti”.

La norma richiede, per la sua applicazione, che le violazioni commesse si connotino per la loro “gravità”, solo in presenza della quale può trovare applicazione l’esclusione dalla gara.

Nella specie è pacifico tra le parti che la ditta Ricorrente Nicola abbia ottenuto un DURC negativo per aver omesso nei termini la presentazione della denuncia alla competente Cassa Edile dei lavoratori occupati in relazione ai mesi di maggio e giugno 2008 pur avendo provveduto nei termini al pagamento alla medesima Cassa dei contributi previdenziali dovuti (circostanza questa ammessa anche dalla Provincia di Siena: cfr. pag. 10 della memoria del 21 aprile 2009).

Non vi è dubbio che l’impresa ricorrente abbia in tal modo violato la normativa previdenziale, essendo prevista la denuncia dei lavoratori occupati in ogni cantiere entro il termine del mese successivo a quello cui si riferiscono le denunce, ma pare altrettanto evidente che nella specie non possa qualificarsi la relativa violazione come “grave”, dal momento che, essendo i relativi contributi previdenziali stati versati regolarmente e nei termini, è da escludere che il ritardo nell’effettuazione della denuncia dei lavoratori abbia in concreto determinato conseguenze o sia stato posto in essere per sottrarsi al relativo pagamento.

La nota della Cassa Edile di Napoli del 7 novembre 2008 (doc. 4 di parte ricorrente), la quale chiarisce in modo inequivoco il tempestivo assolvimento dell’obbligo del pagamento dei contributi a fronte invece di una non tempestiva presentazione delle denunce dei lavoratori, evidenzia poi che in data 15 ottobre 2008 le denunce dei lavoratori occupati nei mesi di maggio e giugno 2008 sono pervenute e non rileva ulteriori irregolarità a carico dell’impresa.

In presenza di una situazione di fatto come quella descritta la disposta esclusione dell’impresa dalla gara appare senz’altro sproporzionata e tale da non rispondere al parametro normativo della “gravità” della violazione previsto dall’art. 38, comma 1, lett. i) del d.lgs. n. 163 del 2006.

Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere accolto con conseguente annullamento degli atti impugnati. Il Collegio ritiene equo disporre tra le parti la compensazione delle spese di giudizio, data la particolarità della fattispecie esaminata


tratto dalla sentenza numero 502 del 24 marzo 2011 pronunciata dal Tar Toscana, Firenze

Un’ assicuratore di RCT, in un appalto, sbaglia di presentare la cauzione provvisoria….

Appalto per i l'affidamento del servizio di copertura assicurativa per il rischio RCT/O;_cauzione provvisoria “pasticciata” per quanto concerne l’importo garantito: va accettata se si tratta di un palese refuso e se il premio corrisponde all’effettivo valore richiesto

Per il principio della massima partecipazione possibile non va esclusa l’impresa nella cui cauzione provvisoria ci  sia un chiaro errore sull’importo in garanzia  se i conteggi sul premio corrispondono al valore garantito come richiesto dalla lex specialis di gara

nella specie la lex specialis di gara non ha espressamente sanzionato con l’esclusione eventuali discordanti indicazioni del valore della cauzione provvisoria, donde l’inesistenza dell’automaticità dell’esclusione stessa


secondo un'applicazione coerente con i principi giurisprudenziali favorevoli alla massima partecipazione, la mancanza di una clausola espressa di esclusione consente di accreditare un'interpretazione che annette rilievo, ai fini dell’esclusione dalla gara, ad irregolarità che si pongano in evidente violazione di una prescrizione di legge o che concretino una chiara violazione dei principi di interesse pubblico che presiedono alla gara stessa e, quindi, della par condicio:

ma la discordante compilazione del prezzo della cauzione non ha determinato alcuna delle conseguenze sopra riportate, ma soltanto una irregolarità sanabile che non ha comportato alcun equivoco o incertezza nell'offerta, essendo palese l’errore in cui era incorsa l’impresa ricorrente

il ricorso principale è fondato in quanto si debbono distinguere le ipotesi in cui le due discordanti indicazioni di prezzo presuppongano una reale divergenza nella manifestazione della volontà dell'offerente tale da non potersene ammettere la contemporanea validità – in tal caso opera la regola contenuta nell'art. 90 del DPR n. 554/99 che (ancorchè formalizzata per risolvere la discordanza tra l’indicazione in cifre e in lettere del prezzo, può tuttavia applicarsi per analogia anche all’affine fattispecie di due prezzi discordanti enunciati entrambi in cifre o entrambi in lettere) esprime il generale principio della validità dell’l'indicazione più vantaggiosa per l'Amministrazione (e regola, fra l’altro, espressamente recepita dall’art. 10 del disciplinare) -, dal caso in cui la riscontrata difformità rappresenti soltanto un refuso che non impedisce l'individuazione dell'effettiva volontà dell'offerente (TAR Milano, III, 13.4.2004 n. 1452), ove si deve dare esclusivo rilievo al prezzo espresso in maniera esatta (TAR Piemonte, II, 1.12.2008 n. 3047; T.A.R. Campania Salerno, I, 8.8.2008 , n. 2228): nel caso di specie è evidente il refuso, atteso che nel frontespizio della polizza si fa espresso riferimento sia al “costo complessivo previsto opera: € 22.750.000,00” e alla “somma pari al 2% del costo complessivo previsto opera: € 455.000,00”, sia alla rata di premio pagata dal contraente, pari a € 1.365,00, appunto corrispondente alla somma garantita di € 455.000,00 (è noto che il valore commerciale di tali contratti si attesta sullo 0,3% della somma assicurata: ove lo 0,3% di € 455.000,00 = € 1.365,00);

tratto dalla sentenza numero 494 del 24 marzo 2011 pronunciata dal Tar Veneto, Venezia

Legittima revoca di aggiudicazione con escussione della relativa cauzione provvisoria per mancata dichiarazione di condanne per violazione della normativa in tema di salute e sicurezza dei lavoratori

Il Comune di Roma, a seguito delle verifiche in ordine ai requisiti di partecipazione alla gara dichiarati dall’aggiudicataria provvisoria, ha accertato l’esistenza di condanne definitive non dichiarate – una delle quali per violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e la sicurezza dei lavoratori - e revocato l’aggiudicazione.


Quanto all’incameramento del deposito cauzionale, è sufficiente richiamare la precisazione contenuta nel disciplinare di gara, in base alla quale il deposito “copre la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario”.

Nella specie, l’amministrazione non ha potuto procedere né all’aggiudicazione definitiva né alla sottoscrizione del contratto con l’aggiudicatario provvisorio a causa della necessità di revoca dell’aggiudicazione e di esclusione dello stesso per la falsa dichiarazione, da considerarsi quale fatto a lui imputabile.

Pertanto, correttamente ed in linea con la legge di gara l’amministrazione ha trattenuto la cauzione richiesta allo scopo di coprire qualsiasi evento impeditivo della sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario, inclusa la mancanza dei requisiti generali di cui all’art. 38 del codice degli appalti (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 4905 del 2009).

Tratto dalla decisione numero 1800 del 24 marzo 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato

Solo gli amministratori muniti di potere di rappresentanza (e non anche i procuratori) devono presentare le dichiarazioni di cui all’articolo 38 del codice dei contratti

L'art. 38 del d. lgs.n. 163/2006 - nell'individuare i soggetti tenuti a rendere la dichiarazione - fa riferimento soltanto agli "amministratori muniti di potere di rappresentanza", ossia ai soggetti che sono titolari di ampi e generali poteri di amministrazione, dovendosi ritenere che una valutazione non ancorata a precisi criteri prestabiliti per legge circa l'ampiezza dei poteri attribuiti con la procura, scalfisca la garanzia di certezza del diritto sotto il profilo - di estrema rilevanza per la libertà di iniziativa economica delle imprese- della possibilità di partecipare ai pubblici appalti


Il novero dei soggetti nei confronti dei quali l’art. 38, comma 2 lett. c) del Codice dei contratti pubblici impone la dichiarazione di onorabilità è , come recentemente chiarito dalla Sezione (Cons. St. Sez. V, 25.1.2011, n. 513), limitato esclusivamente agli amministratori dotati di poteri di rappresentanza nella considerazione che“Ai sensi dell'art. 2380 bis c.c., la gestione dell'impresa spetta esclusivamente agli amministratori e può essere concentrata in un unico soggetto (amministratore unico) o affidata a più persone, che sono i componenti del consiglio di amministrazione (in caso di scelta del sistema monistico ex artt. 2380 e 2409sexiesdecies c.c.) o del consiglio di gestione (in caso di opzione in favore del sistema dualistico ex artt. 2380 e 2409octies c.c.): ad essi, o a taluni tra essi, spetta la rappresentanza istituzionale della società.

I procuratori speciali (o ad negotia) sono invece soggetti cui può essere conferita la rappresentanza - di diritto comune - della società, ma che non sono amministratori e ciò a prescindere dall'esame dei poteri loro assegnati.

L'art. 38 del d. lgs. n. 163/06 richiede la compresenza della qualifica di amministratore e del potere di rappresentanza (che può essere limitato per gli amministratori ex art. 2384, comma 2, c.c.) e non vi è alcuna possibilità per estendere l'applicabilità della disposizione a soggetti, quali i procuratori, che amministratori non sono.

Del resto, si tratta di una norma che limita la partecipazione alle gare e la libertà di iniziativa economica delle imprese, essendo prescrittiva dei requisiti di partecipazione e che, in quanto tale, assume carattere eccezionale ed è, quindi, insuscettibile di applicazione analogica a situazioni diverse, quale è quella dei procuratori.

Peraltro, anche l'applicazione analogica sarebbe opinabile, in presenza di una radicale diversità della situazione dell'amministratore, cui spettano compiti gestionali e decisionali di indirizzi e scelte imprenditoriali e quella del procuratore, il quale, benché possa essere munito di poteri di rappresentanza, è soggetto dotato di limitati poteri rappresentativi e gestionali, ma non decisionali (nel senso che i poteri di gestione sono pur sempre circoscritti dalle direttive fornite dagli amministratori). In altri termini le manifestazioni di volontà del procuratore possono produrre effetti nella sfera giuridica della società, ma ciò non significa che egli abbia un ruolo nella determinazione delle scelte imprenditoriali, lasciate all'amministratore.”



Tratto dalla decisione numero 1782 del 24 marzo 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato

Obbligatoria dichiarazione del legale rappresentante che attesti di essere in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili

La offerta deve quindi contenere a pena di esclusione una specifica e precisa informazione circa l'effettivo assolvimento di tutte le formalità connesse all'assunzione di lavoratori disabili



Osserva in proposito il Collegio che l'art. 17 della L. 12 marzo 1999 n. 68 prevede che le imprese, sia pubbliche sia private, qualora partecipino a bandi gare per appalti pubblici o intrattengano rapporti convenzionali o di concessione con pubbliche Amministrazioni, sono tenute a presentare preventivamente alle stesse la dichiarazione del legale rappresentante che attesti di essere in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili. Al riguardo la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha costantemente rilevato che la dichiarazione di cui all'art. 17, della L. 12 marzo 1999 n. 68, in materia di tutela dei disabili, costituisce requisito di partecipazione alla gara; ne consegue che la omissione di detta dichiarazione costituisce causa di esclusione per la forza cogente propria della legge (Consiglio Stato, sez. V, 21 maggio 2010, n. 3213) e la sua sussistenza deve essere esplicitamente dichiarata anche qualora il soggetto non sia tenuto al rispetto delle norme o sia in regola con le norme stesse.

In tema di partecipazione ad una gara per l'affidamento di un appalto pubblico, la “ratio” e la finalità dell'art. 17, della L. n. 68 del 1999, non sono solo quelle di garantire la P.A. nella conclusione del contratto, da stipularsi con una impresa che abbia osservato ed osservi la normativa sul diritto al lavoro dei disabili, ma anche quella di imporre il rispetto di essa: dette finalità possono essere perseguite, da una parte, verificando l'assenza di pregresse violazioni della disciplina e, per il futuro, verificandone la completa osservanza sulla base dell'assetto organizzativo che, in termini di risorse umane, con riferimento alle prestazioni oggetto di gara, il soggetto aggiudicatario voglia darsi.

Dette considerazioni escludono anche che la Commissione di gara, possa al riguardo utilizzare il potere di richiedere chiarimenti ed integrazioni, non solo perché ciò costituirebbe violazione dei principi di concorrenza e par condicio che presidiano la materia degli appalti pubblici, ma soprattutto perché si dovrebbe richiedere all'Amministrazione di verificare, in mancanza della dichiarazione, se l'impresa occupi un numero di lavoratori tali da esentarla dall'assunzione dei disabili, il che non solo non è conforme alla lettera dell'art. 17, della L. n. 68 del 1999 ma è anche contrario a principi di economicità ed efficacia dell'azione amministrativa di cui agli artt. 97, comma 1, della Costituzione e 1, della L. 7 agosto 1990 n. 241 (Consiglio Stato, sez. V, 24 gennaio 2007, n. 256).


Tratto dalla decisione numero 1792 del 24 marzo 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato

La commissione di gara deve essere nominata dopo la scadenza del termine di presentazione delle offerte

Va inoltre respinta la terza censura di illegittima costituzione della Commissione di gara, prima del termine per la presentazione delle offerte in violazione di quanto stabilito dall'art. 84 co. 10 D.Lgs. n. 163/2006

La nomina della commissione giudicatrice dopo la scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte, è posta a presidio dell’imparzialità della procedura di gara, onde evitare possibili collusioni tra commissari e concorrenti ed è espressione dei più generali principi di imparzialità e di trasparenza, ritenuto applicabile anche in materia di affidamento delle concessioni (T.A.R. Molise Campobasso, sez. I, 23/09/2009, n. 651).

In considerazione del suo carattere , il Collegio ritiene che siffatta violazione possa costituire vizio dell'intera procedura di gara solo se la nomina anteriore alla scadenza del termine di presentazione delle offerte sia in concreto suscettibile di incidere sulla indipendenza dei commissari e sugli elementi discrezionali delle loro valutazioni.

Nella specie durante l’intera procedura di gara non è emersa alcuna incompatibilità dei commissari nominati e l’aggiudicazione è intervenuta con la determinante applicazione di un criterio vincolato (punteggio per il criterio economico)

Tratto dalla decisione numero 1784 del 24 marzo 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato

Le obbligatorie dichiarazione in caso di avvalimento:attenzione all’escussione della cauzione provvisoria

Vale la pena ricordare che la Stazione appaltante può escutere la cauzione provvisoria in caso di mancato possesso dei requisiti morali di entrambe le imprese_ ausiliata e ausiliaria


Cfr codice dei contratti_articolo 49:

  1. Il concorrente, singolo o consorziato o raggruppato ai sensi dell'articolo 34, in relazione ad una specifica gara di lavori, servizi, forniture può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione SOA avvalendosi dei requisiti di un altro soggetto o dell'attestazione SOA di altro soggetto
(…)
      3. Nel caso di dichiarazioni mendaci, ferma restando l'applicazione dell'articolo 38, lettera h) nei confronti dei sottoscrittori, la stazione appaltante esclude il concorrente e escute la garanzia. Trasmette inoltre gli atti all'Autorità per le sanzioni di cui all'articolo 6, comma 11.



Le disposizioni di legge e di bando devono essere interpretate in chiave non formalistica, per cui, affinché tali disposizioni siano rispettate, occorre che la documentazione presentata provi l’esistenza di un vincolo negoziale che consenta all’impresa ausiliata di avvalersi delle risorse (di cui essa sia priva) che le mette a disposizione l’impresa ausiliaria, che quest’ultima assuma il relativo impegno, non solo nel confronti dell’impresa ausiliata ma anche nei confronti della stazione appaltante e che, infine, l’impresa ausiliaria renda le dichiarazioni richieste in punto di possesso dei requisiti generali e di non partecipazione in qualsiasi altra forma alla gara.

La circostanza che la dichiarazione dell’impresa ausiliaria, avente ad oggetto l’assunzione dell’obbligo nei confronti della stazione appaltante, fosse contenuta nel contratto di avvalimento era, pertanto, irrilevante, significando soltanto che il documento recante il contratto di avvalimento, cioè “il contratto in virtù del quale l’impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a fornire i requisiti ed a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell’appalto”, conteneva – oltre al contratto – anche la dichiarazione con cui l’impresa ausiliaria si obbligava, nei confronti della stazione appaltante, “a mettere a disposizione per tutta la durata dell’appalto le risorse necessarie di cui è carente il concorrente”.

In realtà, nessuna disposizione stabilisce che la dichiarazione in contestazione debba essere necessariamente contenuta in un foglio autonomo, la legge limitandosi a prescrivere che il concorrente presenti la documentazione attestante l’esistenza del contratto e le dichiarazioni e gli impegni di cui al comma 2 dell’art. 49.

Tratto dalla decisione numero 1778  del 24 marzo 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato

mercoledì 23 marzo 2011

doppia funzione della cauzione provvisoria:veridicità dei requisiti e sottoscrizione del contratto

Compito della polizza fideisussoria, come previsto dalla legge, è quello di garantire l’amministrazione per tutti i fatti addebitabili al presentatore dell’offerta che non consentano poi di poter sottoscrivere con lui il contratto per la gara indetta, con la possibilità del suo incameramento da parte della stazione appaltante.



in una gara pubblica la cauzione provvisoria svolge una duplice funzione di garanzia per l'amministrazione appaltante, a tutela della serietà e della correttezza del procedimento di gara, sia per il caso in cui l'affidatario non si presti a stipulare il relativo contratto sia per la veridicità delle dichiarazioni fornite dalle imprese in sede di partecipazione alla gara in ordine al possesso dei requisiti di capacità economico - finanziaria e tecnico - organizzativa prescritti dal bando o dalla lettera di invito

La cauzione provvisoria ha quindi la funzione di garantire l'Amministrazione per il caso in cui l'affidatario dei lavori non si prestasse poi a stipulare il relativo contratto ed anche l'ulteriore funzione di garantire la veridicità delle dichiarazioni fornite dalle imprese, in sede di partecipazione alla gara, circa il possesso dei requisiti prescritti dal bando, così da garantire l'affidabilità dell'offerta e rappresentare, salvo prova di maggior danno, una liquidazione anticipata dei danni derivanti all'amministrazione dall'inadempimento di tale obbligo di serietà da parte del concorrente, con la conseguente diretta ed automatica escussione della cauzione nel caso del verificarsi del presupposto correlato alla descritta funzione della cauzione, vale a dire dell'inadempimento del partecipante (T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 16 luglio 2008, n. 1755

Posto quindi che la garanzia fideiussoria prestata in sede di presentazione di una offerta per una gara include, come previsto dalla legge (art. 75, comma 6, del Codice dei Contratti), qualsiasi fatto dovuto a colui che ha presentato l’offerta che non consenta di sottoscrivere con lui il contratto qualora sia risultato affidatario, tale garanzia, anche nella fattispecie in esame, non può non includere in primo luogo il caso che il partecipante alla gara non sottoscriva il contratto alle condizioni indicate nell’offerta nell’ipotesi di aggiudicazione della gara (così come richiesto dal secondo alinea della lettera “b” dell’art. 12 del disciplinare di gara).

Tratto dalla sentenza numero 1589 del 21 marzo 2011  pronunciata dal Tar Campania, Napoli

La dimostrazione dell’errore scusabile “annulla” la colpa della pa

Vi è errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro norma-tivo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto



Come è noto, secondo il consolidato e condivisibile orienta-mento giurisprudenziale, effettivamente ai fini dell'ammissibilità della domanda di risarcimento del danno, non è sufficiente il solo annulla-mento del provvedimento lesivo, ma è altresì necessario che sia confi-gurabile la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo ovvero della colpa, dovendo quindi verificarsi se l'adozione e l'esecuzione dell'atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona fede alle quali l'esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi. (ad es. V sez. n. 1038 del 2010).

In tal senso, anche sulla scorta della giurisprudenza comunita-ria, è stato precisato che in sede di accertamento della responsabilità della Pubblica amministrazione per danno a privati il giudice può af-fermare la responsabilità quando la violazione risulti grave e commes-sa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l'imperizia del-l'organo nell'assunzione del provvedimento viziato e negarla, invece, quando l'indagine conduce al riconoscimento dell'errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro norma-tivo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto.

Operativamente, è stato anche rilevato che in sede di giudizio per il risarcimento del danno derivante da provvedimento amministra-tivo illegittimo, il privato danneggiato può limitarsi ad invocare l'ille-gittimità dell'atto quale indice presuntivo della colpa, restando a carico dell'Amministrazione l'onere di dimostrare appunto che si è trattato di un errore scusabile per contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione della norma, per la complessità del fatto ovvero per l'influenza di altri soggetti.

Tratto dalla decisione numero 247 del 21 marzo 2011 pronunciata dal Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia-na

lunedì 21 marzo 2011

Il complessivo danno subito dalla società ricorrente per le conseguenze del ritardo nel rilascio dell’autorizzazione ammonta, dunque, complessivamente ad euro 52.000,00

Passando alla prova del danno, si rileva che la perizia prodotta in primo grado tende a dimostrare un danno derivante dal tardivo rilascio dell’autorizzazione per interessi passivi (euro 52.000), per costi relativi a consulenze (euro 50.000) e per gli utili non realizzati (euro 150.000).


Al riguardo, si osserva come sia insussistente alcun rapporto di causalità tra asseriti costi sostenuti per consulenze e il ritardo dell’amministrazione nel provvedere, non avendo la ricorrente fornito alcuna giustificazione in relazione a tale nesso e neanche la prova dei costi sostenuti.

Anche gli utili non percepiti non possono essere riconosciuti a titolo di risarcimento, perchè sono indicati tramite un richiamo ai bilanci di altre imprese senza la produzione di un serio piano industriale tendente a dimostrare la convenienza economica dell’investimento, il punto di pareggio tra costi e ricavi e la presumibile data di conseguimento di utili.

In relazione agli interessi passivi corrisposti, i dati forniti dalla ricorrente non sono stati adeguatamente contrastati dalla regione e deve ritenersi che in questo caso vi sia il nesso causale tra il ritardo e tali costi.

Infatti, proprio sulla base della possibilità prospettata di non dare corso all’investimento, il tempestivo rilascio dell’autorizzazione avrebbe messo in condizione l’impresa di rispettare il proprio programma di investimento, mentre il ritardo ha determinato uno sfasamento tra ricorso al credito e attuazione dell’intervento, che ha certamente determinato un danno all’impresa ricorrente, che – ove avesse conosciuto i reali tempi di durata del procedimento amministrativo – avrebbe potuto desistere dall’investimento o comunque non ricorrere subito al finanziamento, non pagando in entrambi i casi gli interessi passivi in questione.

Va, quindi, riconosciuto il risarcimento del danno per una somma corrispondente a tali interessi, pagati dal settembre 2008 ad ottobre 2009 (euro 52.000).


Il complessivo danno subito dalla società ricorrente per le conseguenze del ritardo nel rilascio dell’autorizzazione ammonta, dunque, complessivamente ad euro 52.000,00

 
Tratto dalla decisione numero 1730 del 21 marzo 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato

 

Va, quindi, riconosciuto il risarcimento del danno per una somma corrispondente a tali interessi, pagati dal settembre 2008 ad ottobre 2009 (euro 52.000).

Ogni cittadino e ogni impresa hanno diritto ad avere risposta dalle amministrazioni alle proprie istanze nel termine normativamente determinato

Proprio il ritardo può costituire un fatto sopravvenuto che disincentiva l’effettivo inizio dell’attività, senza però precludere i danni effettivamente determinati da quel ritardo.

Ogni cittadino e ogni impresa hanno diritto ad avere risposta dalle amministrazioni alle proprie istanze nel termine normativamente determinato e ciò proprio al fine di programmare le proprie attività e i propri investimenti; un inatteso ritardo da parte della p.a. nel fornire una risposta può condizionare la convenienza economica di determinati investimenti, senza però che tali successive scelte possano incidere sulla risarcibilità di un danno già verificatosi.

Per questi motivi sono irrilevanti le obiezioni mosse dalla Regione in ordine ad una asserita assenza del nesso causale per non essere stata ancora iniziata l’attività e neanche chiesto il rilascio dell’AIA per l’esercizio dell’attività; non può neppure essere accolta la richiesta di sospensione del giudizio in attesa della definizione di altre controversie, che hanno ad oggetto la contestazione dell’autorizzazione rilasciata con ritardo.

Tratto dalla decisione numero 1730 del 21 marzo 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato

risarcimento del danno da ritardo: il tempo è un bene della vita per il cittadino

Nel caso di specie, ricorre l’ipotesi in cui il privato invoca la tutela risarcitoria per i danni conseguenti al ritardo con cui l'amministrazione ha adottato un provvedimento a lui favorevole, ma emanato appunto con ritardo rispetto al termine previsto per quel determinato procedimento.

Il ritardo procedimentale ha, quindi, determinato un ritardo nell’attribuzione del c.d. “bene della vita”, costituito nel caso di specie dalla disponibilità dell’autorizzazione per l’esecuzioni di lavori di realizzazione di un impianto di gestione dei rifiuti.

In questi casi la giurisprudenza è pacifica nell’ammettere il risarcimento del danno da ritardo (a condizione ovviamente che tale danno sussista e venga provato) e l’intervenuto art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 69/2009, conferma e rafforza la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi delle p.a., stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.

La norma presuppone che anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e la giurisprudenza ha riconosciuto che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento, è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica (Cons. Giust. Amm. reg. Sic., 4 novembre 2010 n. 1368, che, traendo argomenti dal citato art. 2-bis, ha aggiunto che il danno sussisterebbe anche se il procedimento autorizzatorio non si fosse ancora concluso e finanche se l’esito fosse stato in ipotesi negativo).

Nel caso di specie, non rileva la questione della risarcibilità del danno da ritardo in caso di non spettanza del c.d. “bene della vita” e della compatibilità dei principi affermati dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 7/2005 con il nuovo art. 2-bis della legge n. 241/90, avendo la stessa amministrazione riconosciuto tale spettanza con il (tardivo) rilascio dell’autorizzazione.

Tratto dalla decisione numero 1730 del 21 marzo 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato

Illegittima aggiudicazione: il danno ingiusto da riconoscere consiste nel lucro cessante _l’utile_ e nel danno emergente_spese sostenute

Il fatto illecito dell’amministrazione obbliga quest’ultima a risarcire il danno, risarcimento che deve comprendere sia la perdita subita che il mancato guadagno. (artt. 1223 e 2056 c.c.).

Con riguardo all’entità della obbligazione risarcitoria da porre in capo al Comune di Medicina, il Collegio ritiene necessario , avvalendosi della facoltà prevista dall’art. 34, comma 4, del codice del processo amministrativo, stabilire criteri in base ai quali l’amministrazione deve, entro un congruo termine, proporre a favore del creditore il pagamento di una somma di denaro, fermo restando che, in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, la parte interessata può chiedere al giudice la determinazione della somma dovuta proponendo giudizio di ottemperanza.

Tanto premesso, applicando criteri ormai consolidati nella giurisprudenza di questo Consiglio (Sez. V. 22 febbraio 2010 n. 1038; Sez. VI, 27 aprile 2010 n. 2384; 2 marzo 2009 n. 1180) il risarcimento, a titolo di lucro cessante, dovrà corrispondere all'utile dichiarato dall’a.t.i. appellante all'atto della presentazione dell'offerta, o desumibile dal tenore complessivo di essa, ovvero dalla documentata dimostrazione che l’appellante sarà in grado di offrire all’Amministrazione.

Quanto al danno emergente, l’importo dovrà corrispondere alle spese sostenute dalla concorrente per la partecipazione alla gara. Il collegio non ignora che, secondo la giurisprudenza tradizionale,. le spese di partecipazione alla gara non sono risarcibili nella considerazione che esse rimangono a carico dei concorrenti in conseguenza della sola partecipazione ad una procedura di evidenza pubblica e del tutto indipendentemente dal relativo esito (cfr., tra le più recenti, Cons. St., sez. V, 15 febbraio 2010 n. 808). Tale indirizzo sembra peraltro meritevole di riconsiderazione in quanto il fatto illecito dell’amministrazione obbliga quest’ultima a risarcire il danno, risarcimento che deve comprendere sia la perdita subita che il mancato guadagno. (artt. 1223 e 2056 c.c.). Non v’è dubbio che, in caso di fatto illecito, le spese di partecipazione alla gara costituiscano una perdita per il danneggiato quando, come nel caso di specie, esse sono inutili e insuscettibili di qualunque proficuo risultato (cfr. Cass., Sez. II, 31 agosto 2005 n. 17562 e Sez. III, 7 ottobre 2002 n. 14744; Cons. Stato, sez. V, 10 settembre 2010, n. 6544);

La somma così determinata dovrà essere incrementata della rivalutazione monetaria e degli interessi legali con decorrenza dalla data dell’aggiudicazione.

Al Comune di Medicina è assegnato il termine di 60 giorni dalla notificazione della presente sentenza per la formulazione della proposta risarcitoria, sulla base degli atti di gara e della documentazione prodotta nelle sedi giurisdizionali.

Tratto dalla decisione numero 1725 del 21 marzo 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato