mercoledì 29 febbraio 2012

interpretazione evolutiva dell’art. 1227, comma 2, cod.civ. alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà

E occorre notare, con precipuo riguardo al caso di specie, che la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, oggi sancita dall’art. 30, comma 3 codice del processo amministrativo, non è altro che la ricognizione di principi già evincibili alla stregua di un’interpretazione evolutiva dell’art. 1227, comma 2, cod.civ. Pertanto, l’omessa attivazione, nel termine di legge, degli strumenti di tutela, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, può ben costituire dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini anche dell’esclusione, o della semplice mitigazione, del danno evitabile con l’ordinaria diligenza, e questo non più come preclusione di rito ma come fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile
E l’Adunanza Plenaria ha, altresì, chiarito che se la disciplina recata dal nuovo codice del processo amministrativo non è applicabile ad una fattispecie ed ad un giudizio risalenti ad epoca anteriore al 16 settembre 2010, i principi che da questa si evincono (in specie con riferimento all’assenza di una stretta pregiudiziale processuale ed all’operatività di una connessione sostanziale di tipo causale tra rimedio impugnatorio e azione risarcitoria), essendo ricavabili anche dal quadro normativo vigente prima dell’entrata in vigore del codice, sono applicabili anche ai fini della soluzione di questioni risalenti ad epoca precedente all’emanazione del detto codice.
Orbene, poiché, anche nel caso di specie, l’utilizzazione tempestiva del rimedio dato dalla domanda di annullamento sarebbe stata idonea, secondo il paradigma della causalità ipotetica basata sul giudizio probabilistico, ad evitare il pregiudizio, visto che nel novero dei comportamenti esigibili dal destinatario di un provvedimento lesivo è sussumibile, ai sensi del richiamato art. 1227, comma 2, cod. civ., anche l’esperimento, nel termine di decadenza, di siffatto rimedio, la domanda della ricorrente, in definitiva, non può essere accolta.


Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale con la decisione numero 222 del 29 febbraio 2012


inderogabile necessità di specificare gli oneri aziendali per la sicurezza.

L’indicazione degli oneri aziendali per la sicurezza costituisce, in virtù degli artt. 86, comma 3-bis, e l’art. 87, comma 4, del d. lgs. n. 163 del 2006, debitamente richiamati anche dal Tar, un adempimento imposto dalla legge.

Va poi soggiunto che l’art. 26, comma 6, del d. lgs. n. 81 del 9 aprile 2008 (recante norme in materia di tutela della salute e di sicurezza nei luoghi di lavoro), emanato in attuazione della delega prevista dall’art. 1, comma 1, della legge n. 123 del 2007, stabilisce che, nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte, nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro ed al costo relativo alla sicurezza, “che deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture”.

Lo scopo dell’indicazione del costo per la sicurezza è chiaramente evincibile dal quadro normativo qui sinteticamente tratteggiato.

Esso consiste nel porre la stazione appaltante nella condizione di verificare il rispetto di norme inderogabili a tutela di fondamentali interessi dei lavoratori.

In questa prospettiva si colloca anche il c.d. decreto sviluppo (d.l. n. 70/2011), il quale, con l’introduzione del comma 3-bis dell’art. 81 d.lgs. n. 163/06, ha chiarito, in chiave rafforzativa, la necessità di indicare gli oneri per la sicurezza, specificando che l’offerta migliore è determinata, tra l’altro, al netto di tale voce.

Ancorché non applicabile ratione temporis alla fattispecie oggetto di questo giudizio, la disposizione da ultimo richiamata fornisce comunque un rilevante appiglio ermeneutico anche per le procedure di affidamento precedenti nel senso della inderogabile necessità di specificare gli oneri aziendali per la sicurezza.

Tanto precisato, la sussistenza di un obbligo di legge, a presidio di esigenze di ordine imperativo, nei termini fin qui esposti, inficia i rilievi svolti a sostegno del motivo di appello, poiché rende irrilevante la circostanza che la legge di gara non avesse richiesto la ridetta indicazione, rendendosi altrimenti scusabile una ignorantia legis.

Essendo la Ricorrente Clean venuta meno a tale obbligo, l’appello da questa svolta non può essere accolto.

 decisione numero 1172 del 29 febbraio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

divieto di estensibilità analogica di norme eccezionali limitanti libertà imprenditoriale

l’obbligo di presentare le dichiarazioni di cui all’art. 38 del codice dei contratti pubblici non opera per i procuratori speciali indipendentemente dall’ampiezza dei poteri rappresentativi di cui gli stessi sono investiti (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. V, decisione 21 novembre 2011, n. 6136);

- a sostegno dell’indirizzo ora esposto si pone, per un verso, il dato letterale dell’art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163/2006, che richiede la compresenza della qualifica di amministratore e del potere di rappresentanza, e, dall’altro lato, la non estensibilità analogica di una norma eccezionale che limita la partecipazione alle gare e incide, in senso restrittivo, sulla libertà di iniziativa economica delle imprese;

-non è fondato neanche il motivo di gravame volto a contestare la statuizione di accoglimento del ricorso principale di primo grado in ragione dell’orientamento ermeneutico (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. III, 6 settembre 2011, n, 5018 e 31 agosto 2011, n. 4892) secondo cui le dichiarazioni di cui all’art. 38 cit. devono essere rese anche con riguardo al Vice Presidente del Consiglio di Amministrazione, soggetto titolare, a norma di statuto, degli stessi poteri di amministrazione e di rappresentanza spettanti al Presidente in caso di assenza o di impedimento dello stesso;

-non assume, infatti, rilievo, al fine di escludere l’operatività dell’obbligo dichiarativo, la circostanza che i suddetti poteri siano esercitabili solo in funzione vicaria in quanto, secondo la lettera e la ratio della norma, ciò che rileva ai fini della configurazione dell’obbligo di dichiarazione è la titolarità del potere e non il suo concreto esercizio;

-          in forza delle medesime considerazioni non è dirimente la circostanza che per la specifica gara in questione il potere di rappresentanza non sia stato speso dal Vice Presidente vicario mentre assume valore decisivo, specie a fronte della clausola espulsiva dettata dall’art. 6 del capitolato speciale, la circostanza che detto soggetto sia titolare, in via generale e continuativa , di poteri gestionali e rappresentativi


decisione 1186 del 29 febbraio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

l'esame delle giustificazioni presentate dal soggetto che è tenuto a dimostrare la non anomalia dell'offerta è vicenda che rientra nella discrezionalità tecnica dell'Amministrazione

Nelle procedure per l'aggiudicazione di appalti pubblici l'esame delle giustificazioni presentate dal soggetto che è tenuto a dimostrare la non anomalia dell'offerta è vicenda che rientra nella discrezionalità tecnica dell'Amministrazione,

 per cui soltanto in caso di macroscopiche illogicità, vale a dire di errori di valutazione evidenti e gravi, oppure di valutazioni abnormi o affette da errori di fatto, il giudice della legittimità può intervenire, restando per il resto la capacità di giudizio confinata entro i limiti dell'apprezzamento tecnico proprio di tale tipo di discrezionalità (C.d.S., V, 18 agosto 2010, n. 5848; 23 novembre 2010, n. 8148; 22 febbraio 2011, n. 1090).

La giurisprudenza è altresì saldamente orientata nel senso che, nel caso di ricorso proposto avverso il giudizio di anomalia dell'offerta presentata in una pubblica gara, il Giudice amministrativo possa sindacare le valutazioni compiute dall’Amministrazione sotto il profilo della loro logicità e ragionevolezza e della congruità dell'istruttoria, mentre non possa invece operare autonomamente la verifica della congruità dell'offerta presentata e delle sue singole voci, sovrapponendo così la sua idea tecnica al giudizio -non erroneo né illogico- formulato dall'organo amministrativo cui la legge attribuisce la tutela dell'interesse pubblico nell'apprezzamento del caso concreto, poiché, così facendo, il Giudice invaderebbe una sfera propria della P.A. (C.d.S., IV, 27 giugno 2011, n. 3862; V, 28 ottobre 2010, n. 7631).

Si precisa poi sovente che il giudizio di verifica della congruità di un'offerta potenzialmente anomala ha natura globale e sintetica, vertendo sulla serietà o meno dell'offerta nel suo insieme. L'attendibilità della offerta va cioè valutata nel suo complesso, e non con riferimento alle singole voci di prezzo ritenute incongrue, avulse dalla incidenza che potrebbero avere sull'offerta economica nel suo insieme (V, 1 ottobre 2010, n. 7262; 11 marzo 2010 n. 1414); questo ferma restando la possibile rilevanza del giudizio di inattendibilità che dovesse investire voci che, per la loro rilevanza ed incidenza complessiva, potrebbero rendere l'intera operazione economica implausibile e, per l'effetto, insuscettibile di accettazione da parte dell’Amministrazione, in quanto insidiata da indici strutturali di carente affidabilità (V, 28 ottobre 2010, n. 7631).

E’ ormai acquisito anche l’ulteriore punto per cui il giudizio di anomalia postula una motivazione rigorosa ed analitica ove si concluda in senso sfavorevole all’offerente, mentre non si richiede, di contro, una motivazione analitica nell’ipotesi di esito positivo della verifica di anomalia, nel qual caso è sufficiente motivare per relationem con riferimento alle giustificazioni presentate dal concorrente (sempre che a loro volta adeguate). Di conseguenza, in questa seconda evenienza incombe su chi contesti l'aggiudicazione l'onere di individuare gli specifici elementi da cui il Giudice amministrativo possa evincere che la valutazione tecnico-discrezionale dell'Amministrazione sia stata manifestamente irragionevole, ovvero basata su fatti erronei o travisati (VI, 3 novembre 2010, n. 7759; V, 22 febbraio 2011, n. 1090; 23 novembre 2010, n. 8148).


decisione numero 1183 del 29 febbraio 2012 pronunciata dal Consiglio di stato

l'interesse al ricorso alla base dell'azione processuale

Ritiene il Collegio che l’interesse così manifestato dalla odierna appellante non possa ritenersi sufficiente ad integrare una delle condizioni essenziali dell’azione processuale.

L’interesse al ricorso,che va riguardato con riferimento alla pretesa azionata dalla originaria ricorrente, risulta infatti – come riconosciuto dalla stessa appellante - integralmente soddisfatto a mezzo della cessazione del rapporto originato dalla aggiudicazione annullata in sede giurisdizionale, della riedizione della gara e dell’affidamento del servizio alla originaria ricorrente. La stazione appaltante ha palesato la sua acquiescenza rispetto a tale nuovo assetto sostanziale dei rapporti inter partes; altrettanto ha fatto la originaria aggiudicataria che non ha impugnato la sentenza recante l’annullamento dell’aggiudicazione in suo favore.
Se dunque le originarie parti, intimate nel giudizio di primo grado, non hanno interesse a contrastare tale epilogo della vicenda processuale ( come si evince dalla richiamata memoria conclusiva della stazione appaltante), la stessa non può avere ulteriore seguito, avendo il giudizio perseguito le sue precipue finalità, con il ripristino dell’ordine giuridico violato conformemente all’interesse dell’originario ricorrente.


Né a diverse conclusioni può condurre il rilievo riguardo al nuovo interesse processuale dichiarato in questo grado dalla appellante, coincidente con quello alla corretta interpretazione della disposizione regolamentare interna alla società aeroportuale ( anche al fine di orientare la sua condotta futura a fronte di giudicati discordanti del giudice di primo grado), nella parte in cui il testo del regolamento interno consentirebbe alla stessa, per gli appalti sottosoglia, di derogare significativamente alla disciplina contenuta nel Codice dei contratti pubblici. E’evidente infatti che si tratta di interesse non meritevole di tutela in questa sede, in quanto esorbitante rispetto al thema decidendum introdotto nel giudizio di primo grado, tanto più che non è dato conoscere quali fossero le questioni controverse nel distinto giudizio definito con la sentenza del Tar Emilia Romagna 21 maggio 2010 n. 4920, richiamata in memoria dall’appellante, che si assume avere contenuto contrastante con quella impugnata in questa sede.
In definitiva, il ricorso in appello in esame va dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse


Consiglio di Stato con la decisione numero 1097 del 27 febbraio 2012

sulla differenza fra risarcimento del danno e indennizzo

risarcimento del danno e indennizzo sono infatti istituti giuridici diversi, essendo correlato l’uno a un fatto illecito (la sussistenza del quale qui si deve escludere, attesa la legittimità del comportamento dell’Amministrazione), l’altro a un c.d. fatto lecito dannoso. E’ dunque escluso che la domanda di risarcimento implichi in sé quella di indennizzo; ne segue che la domanda di indennizzo, formulata per la prima volta in appello, è inammissibile

Consiglio di Stato con la decisione numero 1137 del 28 febbraio

il ruolo dell' ausiliaria nell'avvalimento

Quindi la censura è solamente frutto di una commistione inesistente ed illogica tra le posizioni della concorrente e dell’ausiliaria, la quale ultima non condivide gli stessi oneri dei concorrenti, non può essere considerata offerente, né è esecutrice del contratto oggetto della gara, rivestendo eventualmente solo il ruolo di subappaltatrice, art. 49 co. 10 D. Lgs. 163/06.

Consiglio di Stato con la decisione numero
1149 del 28 febbraio 2012

martedì 28 febbraio 2012

legittima escussione della fideiussione per mancata demolizione delle preesistenze

L’escussione della polizza fideiussoria era quindi legata al mero fatto della mancata demolizione dell’edificio esistente

ponendo in disparte ogni valutazione in ordine all’entità del danno cagionato all’altro contraente a causa del ritardato adempimento e indipendentemente dallo stato di avanzamento del nuovo edificio, secondo uno schema oramai diffuso nella pratica commerciale.

Pertanto, trattandosi di una polizza fideiussoria rilasciata dalla società appellante a garanzia dell’adempimento della demolizione del fabbricato esistente prima del 31.12.2007, è del tutto legittimo che il Comune ne abbia chiesto il pagamento una volta accertata la permanenza dell’immobile oltre la predetta data



il regolamento negoziale aveva inteso porre la polizza fideiussoria, rilasciata dalla ricorrente, a garanzia dell’adempimento da parte di quest’ultima dell’obbligazione di demolire la preesistenza prima della data del 31.12.2007.

Questo profilo è testuale, dove al punto 3 si legge che “l’immobile esistente (…)” dovrà “in ogni caso essere demolito prima di richiedere l’agibilità del nuovo edificio e comunque prima del 31.12.2007”.

Da ciò deriva l’attribuzione di espressi poteri in capo al Comune, in favore del quale si prevede, al punto 4, che “potrà richiedere la riscossione dell’importo recato nella polizza qualora risulti che il nuovo immobile sia utilizzato senza che la preesistenza sia stata precedentemente demolita, ovvero qualora alla data del 31.12.2007 non risulti comunque demolita e ciò a prescindere dallo stato di avanzamento del nuovo intervento”.

Passaggio tratto dalla decisione numero 971 del 23 febbraio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato


Con il secondo motivo di diritto, si deduce eccesso di potere per difetto di motivazione e V_azione dell’art. 20 del d.P.R. n. 380 del 2001. Nel concreto, la censura lamenta la mancata considerazione delle responsabilità del Comune nel rilascio del titolo edilizio abilitativo alla demolizione della preesistenza entro i termini previsti contrattualmente.
La stessa posizione è sostenuta dalla Garante One Assicurazione s.p.a., nel punto 3 del suo ricorso (successivo al precedente punto 3, ma numerato con la stessa cifra a pag. 8 del ricorso), che può quindi contestualmente essere esaminato.
4.1. - La censura non può essere condivisa.
Non è dato riscontrare quale sarebbe il nesso causale che porti ad attribuire al Comune la responsabilità per la mancata demolizione. Valga a tal fine la ricostruzione cronologica degli eventi, da cui si evince che, dopo il completamento dell’iter relativo alla domanda di rilascio del 15.4.2005, a cui faceva addirittura seguito un invito del 3.7.2006, con cui il Comune invitava l’appellante a ritirare il titolo abilitativo, la società presentava un’istanza di ricalcolo degli oneri concessori in data 8.9.2006, a cui seguiva il rilascio di un nuovo titolo in data 12.9.2006, in relazione al quale solo il successivo 20.6.2007 veniva presentata la comunicazione di inizio lavori.
Le censure avanzate, sui presunti ritardi dell’azione del Comune in relazione ai tempi normativi del procedimento di rilascio del titolo abilitativo, si scontrano con il dato oggettivo della presenza di uno spazio temporale residuale più che sufficiente al completamento della demolizione e quindi dell’ininfluenza causale delle censure contenute nel motivo di ricorso che, quand’anche fondate, non escluderebbero l’attribuibilità del mancato adempimento alle sole scelte della società appellante.
5. - Con il terzo motivo di ricorso, viene infine lamentato l’eccesso di potere per erroneità e difetto di motivazione, in merito al mancato accoglimento della domanda di riduzione equitativa della penale ai sensi dell’art. 1384 c.c.. Il motivo evidenzia come sussistessero tutti i presupposti per tale concessione, in relazione all’esistenza di una corresponsabilità dell’amministrazione nell’adempimento e nella sproporzione tra l’importo preteso e l’interesse pubblico tutelato.
La stessa posizione è sostenuta dalla Garante One Assicurazione s.p.a., nel punto 4 del suo ricorso (pag. 10), che può quindi contestualmente essere esaminato.
5.1. - La censura non può essere condivisa.
Va rimarcato, come sopra sottolineato, che non vi sono elementi per ricondurre causalmente elementi di responsabilità a capo del Comune per l’inadempimento della prestazione dedotta in transazione. La prima ragione a fondamento della riduzione in via equitativa appare quindi insussistente.
Sulla seconda ragione, in disparte ogni considerazione sulla difficoltà di individuare dei metodi oggettivi per la quantificazione economica di un interesse pubblico, va evidenziato come il T.A.R. abbia fatto rinvio alla stessa autonomia privata come sistema di contemperamento degli interessi, che è peraltro una conseguenza quasi immediata per il fatto che la fideiussione de qua si pone come meccanismo sostitutivo di un adempimento previsto in un negozio transattivo, cioè caratterizzato ontologicamente da reciproche concessioni delle parti interessate.
Nel dettaglio, la struttura del negozio di transazione, soprattutto nel fatto di convenire l’escussione della fideiussione per l'ipotesi di ritardo nell'adempimento a prescindere dall’esecuzione della prestazione principale pure se tardiva, rende evidente la volontà comune delle parti di isolare l’esecuzione della prestazione pattuita dal complesso delle situazioni esterne.
L’ipotesi quindi di un abuso o di una strumentalizzazione dell’autonomia della parte privata appare quindi del tutto destituita di fondamento, facendo venire parimenti meno anche la seconda ragione posta a sostegno della domanda di riduzione.

non vi può essere avvalimento con un'impresa extracomunitaria

deve dunque escludersi che un’impresa comunitaria possa avvalersi dei requisiti tecnico-operativi messi a disposizione da parte di un’impresa extracomunitaria

non appartenente ad alcuno dei Paesi di cui al comma 1 dell’art. 47 del D.L.vo 163 del 2006, ovvero che non abbiano stipulato particolari accordi di reciprocità con l’Unione Europea o con l’Italia.

Tale divieto, inoltre, deve ritenersi esteso non soltanto alle ipotesi di partecipazione diretta dell’impresa extracomunitaria ma anche nelle ipotesi di partecipazione indiretta che possono, per l’appunto, realizzarsi proprio con il ricorso all’istituto dell’avvalimento di cui all’art. 49 del D.L.vo 163 del 2006 e successive modifiche.

Il divieto di cui trattasi è infatti deputato ad assicurare la parità sostanziale di trattamento tra i concorrenti nei procedimenti ad evidenza pubblica, in modo da evitare l’ingresso nei procedimenti medesimi di imprese i cui costi di gestione ambientale, operativi e tecnici sono o possono essere imparagonabili a quelli delle imprese comunitarie; e va soprattutto in tal senso rimarcato che nel contesto dell’istituto dell’avvalimento l’impresa ausiliaria non è semplicemente un soggetto terzo rispetto al contratto d’appalto, dovendosi essa impegnare, non soltanto verso l’impresa ausiliata che concorre per l’aggiudicazione, ma anche verso l’amministrazione aggiudicatrice, a mettere a disposizione dell’ausiliata medesima le risorse di cui questa sia carente, posto che l’ausiliaria è tenuta a riprodurre il contenuto del contratto di avvalimento in una dichiarazione resa nei confronti della stazione appaltante.

Detto altrimenti, e anche in conseguenza di quanto disposto dall’art. 47, § 2 e dell’art. 48, § 3,della direttiva 18/2004/CE, l’impresa ausiliaria diviene con ciò titolare passivo di un’obbligazione accessoria dipendente rispetto a quella principale assunta dall’impresa partecipante alla gara e che si perfeziona mediante l’aggiudicazione e la stipula a favore dell’impresa ausiliata, di cui segue le sorti, con la conseguenza che l’impresa ausiliaria medesima risponderà a titolo di responsabilità contrattuale dell’inadempimento delle promesse fatte all’amministrazione.

Non a caso, quindi, l’art. 49, comma 1, lett. b) del D.L.vo 163 del 2006 impone all’impresa ausiliaria di allegare una dichiarazione sottoscritta attestante il proprio possesso dei “requisiti generali di cui all’art.38” dello stesso D.L.vo.

decisione numero 969 del 23 febbraio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

illegittima partecipazione per aver presentato referenze bancarie non inerenti alla società

le dichiarazioni bancarie devono riguardare soltanto il soggetto partecipante alla gara

anche la società di persone ha una sua soggettività giuridica ( oltre che una contabilità separata ed un autonomo bilancio di esercizio) che avrebbe dovuto comportare la riferibilità soltanto alla società partecipante delle referenze bancarie da esibire a comprova del requisito partecipativo predetto


Le dichiarazioni prestate dalla Banca di Roma ed esibite in sede di gara dalla aggiudicataria non si riferivano, come più volte detto, né alla società né al socio accomandatario, di tal che sono risultate assolutamente incongrue, nel caso in esame, rispetto alle finalità di garanzia perseguite dalla richiamata disposizione normativa. Le stesse si riferivano, infatti, alla sola persona fisica del socio accomandante ( che come è noto non ha responsabilità illimitata per le obbligazioni contratte nell’interesse della società, ma risponde limitatamente alla quota conferita) nonché ad altro soggetto giuridico


Passaggio tratto dalla decisione numero 1014 del 23 febbraio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato


Come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, la prescrizione del bando di gara ( punto 6) per la concessione dell’area demaniale di che trattasi secondo cui “la dimostrazione della capacità finanziaria ed economica può essere fornita mediante idonee dichiarazioni bancarie e/o nel caso di società attraverso i bilanci degli ultimi tre esercizi” è coerente sul piano contenutistico con le previsioni normative applicabili ratione temporis ai fatti oggetto della presente controversia ( art. 13 d.lgs. 24 luglio 1992 n. 358, nel testo risultante dalla modifica recata dall’art. 11 del d. lgs 20 ottobre 1998 n. 402). La stessa prescrizione non lasciava adito a dubbi sul fatto che le dichiarazioni bancarie dovessero riguardare soltanto il soggetto partecipante alla gara, e cioè nella specie la società in accomandita Già Già Ricorrente di Ricorrente 2 Alessandra & C. e che non fossero ammesse dichiarazioni equipollenti in favore di soggetti diversi.

Le dichiarazioni prestate dalla Banca di Roma ed esibite in sede di gara dalla aggiudicataria non si riferivano, come più volte detto, né alla società né al socio accomandatario, di tal che sono risultate assolutamente incongrue, nel caso in esame, rispetto alle finalità di garanzia perseguite dalla richiamata disposizione normativa. Le stesse si riferivano, infatti, alla sola persona fisica del socio accomandante ( che come è noto non ha responsabilità illimitata per le obbligazioni contratte nell’interesse della società, ma risponde limitatamente alla quota conferita) nonché ad altro soggetto giuridico ( e cioè alla ditta Ricorrente 2 Alessandra, corrente in Roma alla piazza S. Paolo alla Regola n. 34) che, per quanto possa presumersi far capo al socio accomandatario, è soggetto giuridico ben distinto da quest’ultimo, di guisa che le garanzie a tale ditta prestate non possono ritenersi equipollenti a quelle che avrebbero dovuto specificatamente riguardare il soggetto partecipante, e che in concreto non sono state prestate.

A conclusioni non diverse conduce il rilievo dell’appellante secondo cui, essendo la società appellante di nuova costituzione, la stessa non avrebbe potuto dimostrare di possedere il requisito economico finanziario richiesto dalla lex specialis di gara se non a mezzo di referenze bancarie riferite alle persone dei soci. A parte il fatto che nel caso concreto le referenze non hanno riguardato specificatamente la persona del socio illimitatamente responsabile ( ma una diversa ditta individuale a quest’ultimo riferibile corrente in Roma alla piazza S. Paolo alla Regola n. 34) è a dirsi che, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, anche la società di persone ha una sua soggettività giuridica ( oltre che una contabilità separata ed un autonomo bilancio di esercizio) che avrebbe dovuto comportare la riferibilità soltanto alla società partecipante delle referenze bancarie da esibire a comprova del requisito partecipativo predetto. Non rileva in altri termini la mancanza, nelle società di persone, del requisito afferente l’autonomia patrimoniale perfetta ( che costituisce un proprium delle società di capitali), ai fini della imputabilità delle garanzie patrimoniali ai suoi soci anziché alla società, per quanto le condizioni patrimoniali dei primi ( soprattutto se appartenenti alla categoria dei soci illimitatamente responsabili) non siano evidentemente irrilevanti nella determinazione del soggetto garante ( nel caso di specie, la banca) di rilasciare la dichiarazione di garanzia in favore della società istante in funzione propedeutica all’auspicato ruolo di partner contrattuale della amministrazione aggiudicatrice.

Alla luce delle brevi considerazioni che precedono appare corretta la gravata sentenza nella parte in cui ha rilevato, in via preliminare ed assorbente, la fondatezza della censura di primo grado relativa alla illegittima della partecipazione alla gara della aggiudicataria in ragione delle evidenziate carenze della documentazione offerta a comprova di un requisito partecipativo essenziale.

dichiarazioni richieste al procuratore speciale

La mancata dichiarazione per le informazioni di cui all’art. 38, comma 1, lett. b), c) e m-ter) da parte dei procuratori speciali integra una violazione dell’art. 10, punto A.4) del disciplinare di gara che avrebbe dovuto comportare l’esclusione dalla gara del raggruppamento ricorrente in primo grado.


Il Collegio ritiene che la citata previsione della lex specialis sia univoca nel senso di richiedere la dichiarazione per tutti i soggetti “titolari della capacità di impegnare l’impresa verso terzi”, ancorché essi non siano amministratori o rappresentanti legali.

Ai fini dell’obbligo dichiarativo in esame è, quindi, sufficiente, per espressa previsione del disciplinare, l’esistenza di un potere negoziale di rappresentanza, anche derivante dall’esistenza di una procura limitata a determinati negozi e indipendentemente dai limiti di importo

Non rileva, in questa sede, la questione interpretativa sorta in giurisprudenza in ordine alla possibilità o meno di includere il mero procuratore ad negotia nella nozione, richiamata dall’art. 38, comma 1, lett. b) e c) di “amministratori muniti di potere di rappresentanza”. In questo caso, infatti, è la lex specialis che richiede, comunque, l’obbligo di dichiarazione in capo al procuratore speciale, a prescindere dal fatto che egli possa o meno essere considerato “amministratore munito di potere di rappresentanza”.


Passaggio tratto dalla decisione numero 1030 del 23 febbraio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

In senso contrario, per sostenere una diversa interpretazione della clausola sopra trascritta, non è possibile neanche enfatizzare (come chiede Controinteressata nelle sue difese) la circostanza che il disciplinare faccia riferimento disgiuntivamente (e non cumulativamente) ai “rappresentanti legali o titolari della capacità di impegnare l’impresa verso i terzi”.

L’utilizzo della congiunzione disgiuntiva non può, infatti, essere interpretata nel senso che sia sufficiente la dichiarazione o degli uni o degli altri (con la conseguenza che se vi è quella dell’amministratore non sarebbe necessaria anche la dichiarazione del procuratore ad negotia). Al contrario, risulta evidente, anche alla luce di una interpretazione fedele al dato meramente letterale, che la lex specialis sia volta ad ampliare l’ambito soggettivo dell’obbligo dichiarativo rispetto a quello imposto dalla legge. La congiunzione “o” va, quindi, intesa nel senso di “o comunque” e non certo nel senso di “o in alternativa”.

La diversa interpretazione sostenuta da Controinteressata sarebbe stata sostenibile in presenza di una diversa formulazione del disciplinare. Ad esempio, già se il disciplinare avesse contenuto una previsione di del tipo tipo “la dichiarazione deve essere resa da tutti i rappresentanti legali o dai titolari della capacità di impegnare l’impresa verso i terzi”, la tesi dell’alternatività sarebbe stata può fondatamente sostenibile. A differenza di quanto accade nell’esempio appena riportato, infatti, nella formula utilizza dal disciplinare, ove si sostituisse la “o” con la “e”, si giungerebbe ad una espressione meramente pleonastica, in quanto i rappresentanti legali già hanno la capacità di impegnare l’impresa verso l’esterno e non avrebbe alcun senso specificarlo. Nel caso di specie, invece, vi è solo la disgiunzione “o” senza la ripetizione della preposizione “dai”, e questo dato, all’apparenza formale, risulta decisivo per giungere alla conclusione che la clausola richiede la dichiarazione da parte dei titolari della capacità di impegnare l’impresa verso i terzi in aggiunta – non in alternativa – rispetto ai rappresentanti legali.

L’uso della “o”, in definitiva, insieme alla scelta di non ripetere la preposizione “dai”, è certamente indicativa della volontà di chiedere le dichiarazioni da parte di entrambe le categorie soggettive contemplate.

Oltre al criterio letterale, già univoco, soccorre poi un criterio di ordine logico, essendo certamente poco razionale un disciplinare che richieda la dichiarazione alternativamente o agli uni o agli altri.


A cura di Sonia Lazzini

Riportiamo qui di seguito il testo integrale della decisione numero 1030 del 23 febbraio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

domenica 26 febbraio 2012

l'omessa dichiarazione non è compresa tra le tassative cause di esclusione

violazione dell’art. 46, comma 1 bis, del d.lgs. n. 163/2006  in tema di tassatività delle cause di esclusione




Non è legittimo richiedere una dichiarazione sottoscritta per esteso con firma leggibile e con le indicazioni delle generalità del legale rappresentante da cui si evincesse espressamente che l’offerta era improntata a serietà, integrità, indipendenza e segretezza con impegno a conformare il proprio comportamento ai principi di lealtà, trasparenze e correttezza

non appare fondata l’eccezione di inammissibilità per omessa impugnazione del bando sollevata dalla controinteressata, in quanto non è posta in discussione la legittimità del bando, quanto l’incidenza di una clausola di esso sulla partecipazione di un concorrente

Considerato che l’art. 46, comma 1-bis del DLgs n. 163/2006, aggiunto dall’art. 4, II comma, n. 2, lett. “d” del DL n. 70/2011, ha introdotto il principio di tassatività delle cause di esclusione dei concorrenti dalle procedure concorsuali e che tra tali cause non può rientrare la prestazione di una dichiarazione del tenore di quella contemplata dal bando;

Considerato, quindi, che nel caso di specie, l’odierna ricorrente non poteva essere automaticamente estromessa dalla gara, ma doveva essere previamente invitata ad integrare le dichiarazioni relative alla gara, emendando così l’errore compiuto;

Considerato che, pertanto, in parziale accoglimento del ricorso, deve essere disposto l’annullamento dell’atto di esclusione e del provvedimento di aggiudicazione definitiva;

Considerato che la pronuncia di annullamento comporta l’obbligo di rinnovazione delle operazioni di gara, dovendosi accertare, tra l’altro ed in ogni caso, la congruità dell’offerta presentata dall’odierna ricorrente, e che, pertanto, non può trovare accoglimento la domanda di conseguire l’aggiudicazione ed il contratto;

Considerato che non possono essere accolte le domande subordinate di risarcimento per equivalente, in quanto la rinnovazione della gara soddisfa integralmente l’interesse della parte ricorrente, che, allo stato, è limitato alla partecipazione alla gara;

Considerato che non può trovare accoglimento la domanda di dichiarazione di inefficacia del contratto, considerato che il contratto non risulta stipulato, essendo stata disposta unicamente l’esecuzione in via d’urgenza;

a cura di Sonia Lazzini

 sentenza numero 204 sel 24 febbraio 2011 pronunciata dal Tar Calabria, Catanzaro

Tassatività delle cause di esclusione e mancata allegazione di fotocopia di valido documento di identità

Legittima l’esclusione per mancata allegazione della copia del documento di identità del sottoscrittore


la mancata allegazione della fotocopia di un valido documento di identità riguardante le generalità del sottoscrittore concreta proprio la fattispecie prevista dalla novella normativa all’art. 46, primo comma bis, del Codice dei contratti pubblici, disposta con l’art. 4, secondo comma, lettera d) del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito in legge, con modricorrentecazioni, dall’art. 1, primo comma, della legge 12 luglio 2011, n. 106, in quanto denota una assoluta incertezza sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta

Considerato che il Collegio non rinviene, nella fattispecie, alcuna valida ragione per discostarsi dal suddetto precedente giurisprudenziale, tenuto conto che la dichiarazione sostitutiva, soltanto se formata a norma degli artt. 38 e 47 del D.P.R. n. 445/2000, può ritenersi un documento avente lo stesso valore giuridico di un atto di notorietà, per cui in mancanza di tale adempimento, viene meno la stessa riconducibilità dell’atto ad una qualsivoglia persona fisica e, conseguentemente, alla persona giuridica da questa rappresentata;

Considerato, pertanto, che la mancata allegazione della copia del documento di identità del sottoscrittore non consente all’atto di spiegare gli effetti certricorrentecativi previsti dalla corrispondente fattispecie normativa, con la conseguenza che tale assenza comporta il venir meno del nesso tra dichiarazione e soggetto a cui attribuirla;

si legga anche

Anche dopo il 14 maggio 2011 va esclusa l’offerta  priva (della copia fotostatica) del documento di identità in corso di validità del sottoscrittore

l’allegazione della copia fotostatica del documento di identità viene ad assumere il valore di onere necessario per il sottoscrittore, al fine di conferire legale autenticità al suo scritto

l’ allegazione della fotocopia del documento di identità del sottoscrittore serve ad evidenziare l’imprescindibile nesso di imputabilità soggettiva della dichiarazione ad una determinata persona fisica



Gli artt. 38, comma 3, e 47, comma 1, del d.P.R. n. 445 del 2000 enucleano infatti, allo scopo ora delineato, una fattispecie normativa complessa che pone a carico dell’interessato un preciso obbligo documentale, finalizzato a porre in evidenza il nesso tra dichiarazione e soggetto cui attribuirla.

Ne consegue che la mancata previsione di una sanzione espulsiva nella lex specialis appare elemento inconferente, venendo a mancare, in assenza del documento di identità, sia la riconducibilità al dichiarante, sia l’attribuibilità dell’intento partecipativo; non vi è dunque necessità di una sanzione espressa, trattandosi di conseguenza derivante ex lege dal mancato rispetto delle disposizioni cogenti in tema di documentazione amministrativa.

Tale criterio ermeneutico ha trovato conferma anche dopo l’introduzione, da parte del d.l. 13 maggio 2011, n. 70 (convertito nella legge 12 luglio 2011, n. 106), peraltro inapplicabile ratione temporis, con l’art. 46, comma 1-bis, del codice dei contratti pubblici, del principio di tassatività delle cause di esclusione nelle gare di appalto; si è infatti ritenuto che la mancata allegazione della fotocopia di un valido documento di identità riguardante le generalità del sottoscrittore concreta proprio la fattispecie, prevista dalla novella legislativa, della “incertezza assoluta sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali” (T.A.R. Lazio, Sez. I bis, 6 dicembre 2011, n. 9597).

Passaggio tratto dalla sentenza numero 46 del 14  febbraio 2012 pronunciata dal Tar Umbria,Perugia


Con il primo motivo del ricorso incidentale l’A.T.I. aggiudicataria deduce che il R.T.I. Ricorrente, ricorrente principale, doveva essere escluso dalla gara per avere violato le disposizioni della lex specialis sulle modalità di documentazione del curriculum; in particolare lamenta che, contrariamente a quanto prescritto dalla lettera di invito (Parte III, Capo I) e dal modello “C” allegato alla stessa lettera di invito, la documentazione (melius, le schede descrittive) inserita nella busta “C” dal R.T.I. Ricorrente era priva (della copia fotostatica) del documento di identità in corso di validità del sottoscrittore, né tale documento è stato rinvenuto in alcuna parte del plico contenente il curriculum; in presenza di tale omissione il Capo IV, punto b4), della Parte I della lettera di invito commina l’esclusione dell’offerta dalla gara; illegittimamente, dunque, la Commissione giudicatrice ha consentito la partecipazione alla gara di tale concorrente.

La censura è fondata, e meritevole pertanto di positiva valutazione.

Si evince infatti dalla busta “C-Curricula” (nella copia estratta in sede di accesso documentale) versata in atti dalla ricorrente incidentale come effettivamente l’A.T.I. con capogruppo mandataria la Ricorrente S.r.l. abbia prodotto le schede (contenenti i dati relativi ad interveti realizzati ed affini a quello oggetto di gara) secondo il modello “C”, sottoscritte e timbrate, ma non corredate dalla copia fotostatica del documento di riconoscimento del dichiarante in corso di validità.

Tale omissione si pone in contrasto con la lex specialis della gara, ed in particolare con le già ricordate prescrizioni della Parte Terza, Capo I della lettera di invito, alla cui stregua, tra l’altro, tutte le dichiarazioni richieste : «a.1) sono rilasciate ai sensi dell’articolo 47 del D.P.R. n. 445 del 2000, in carta semplice, con la sottoscrizione del dichiarante (rappresentante legale del concorrente o altro soggetto dotato del potere di impegnare contrattualmente il concorrente stesso); a.2) devono essere corredate dalla copia fotostatica di un documento di riconoscimento del dichiarante, in corso di validità»; la difformità è altresì evidente rispetto al modello “C” allegato alla lettera di invito, al quale fa espresso rinvio anche il Capo III della Parte I, in fondo al quale vi è un “N.B.” del seguente letterale (e grafico) tenore : «Il presente modulo, compilato in ogni sua parte, potrà essere costituito da un massimo di ulteriori due pagine formato UNI A4 e pena l’esclusione dalla gara, dovrà essere siglato, timbrato e corredato da fotocopia, non autenticata, di documento di identità del sottoscrittore, ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. 28/12/2000, n. 445».

Il Capo IV della Parte I della lettera di invito, al punto b.4), prevede la esclusione dalla gara delle offerte «con una o più di una delle dichiarazioni richieste recanti indicazioni errate, insufficienti, non pertinenti, non veritiere o comunque non idonee all’accertamento dell’esistenza di fatti, circostanze o requisiti per i quali siano prodotte; oppure non sottoscritte dal soggetto competente».

Ad avviso del Collegio, all’interno di tale comminatoria di esclusione rientra anche la mancata allegazione della fotocopia del documento di identità del sottoscrittore, la quale serve ad evidenziare l’imprescindibile nesso di imputabilità soggettiva della dichiarazione ad una determinata persona fisica; a tale esito si perviene, del resto, in forza della specifica ed autonoma clausola di esclusione contenuta nel modello “C”, che è parte integrante della lettera di invito.

In ogni caso, è noto l’insegnamento giurisprudenziale secondo il quale in tema di partecipazione alle gare di appalto, l’allegazione della copia fotostatica del documento di identità viene ad assumere il valore di onere necessario per il sottoscrittore, al fine di conferire legale autenticità al suo scritto e di permettere l’imputabilità soggettiva della dichiarazione, così che la mancata allegazione della copia del documento di identità rende del tutto inutile la produzione della documentazione per la partecipazione alla gara (ex multis Cons. Stato, Sez. VI, 24 gennaio 2011, n. 478; Sez. IV, 2 settembre 2011, n. 4967).

Gli artt. 38, comma 3, e 47, comma 1, del d.P.R. n. 445 del 2000 enucleano infatti, allo scopo ora delineato, una fattispecie normativa complessa che pone a carico dell’interessato un preciso obbligo documentale, finalizzato a porre in evidenza il nesso tra dichiarazione e soggetto cui attribuirla.

Ne consegue che la mancata previsione di una sanzione espulsiva nella lex specialis appare elemento inconferente, venendo a mancare, in assenza del documento di identità, sia la riconducibilità al dichiarante, sia l’attribuibilità dell’intento partecipativo; non vi è dunque necessità di una sanzione espressa, trattandosi di conseguenza derivante ex lege dal mancato rispetto delle disposizioni cogenti in tema di documentazione amministrativa.

Tale criterio ermeneutico ha trovato conferma anche dopo l’introduzione, da parte del d.l. 13 maggio 2011, n. 70 (convertito nella legge 12 luglio 2011, n. 106), peraltro inapplicabile ratione temporis, con l’art. 46, comma 1-bis, del codice dei contratti pubblici, del principio di tassatività delle cause di esclusione nelle gare di appalto; si è infatti ritenuto che la mancata allegazione della fotocopia di un valido documento di identità riguardante le generalità del sottoscrittore concreta proprio la fattispecie, prevista dalla novella legislativa, della “incertezza assoluta sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali” (T.A.R. Lazio, Sez. I bis, 6 dicembre 2011, n. 9597).

Da quanto esposto emerge che illegittimamente il R.T.I. Ricorrente è stato ammesso alla gara oggetto del presente giudizio.

A cura di Sonia Lazzini

Riportiamo qui di seguito il testo della sentenza numero 1858 del 23 febbraio 2012 pronunciata dal Tar Lazio, Roma

le semplici fotocopie della certificazione di qualità non bastano a dimezzare la cauzione

Certificazione di qualità: l’Amministrazione può  prescrivere, in funzione di interessi prevalenti rispetto a quelli della mera semplificazione, la produzione del documento in originale o in copia autentica


Discende da quanto detto la fondatezza del primo motivo di ricorso incidentale, non avendo le imprese facenti parte del raggruppamento ricorrente allegato l’originale (o copia autentica) della certificazione di qualità aziendale UNI EN ISO 9001-2008, richiesto a pena d’esclusione

Poiché la lez specialis di gara richiedeva il certificato del sistema di qualità aziendale “… in originale o copia conforme all’originale, va esclusa l’Ati che ha presentato semplici fotocopie

la certificazione di qualità è normalmente rilasciata da soggetti di diritto privato abilitati dalla legge, che non detengono l’originale ma rilasciano l’unico attestato al richiedente, il quale solo può documentarne il possesso effettivo in sede di verifica


Passaggio tratto dalla sentenza numero 371 del 23 febbraio 2012 pronunciata dal Tar Puglia, Bari


Confermando l’avviso sommariamente espresso dal Collegio nella fase cautelare, deve giudicarsi fondato il primo motivo del ricorso incidentale, per mezzo del quale viene contestata:

- la validità della produzione, da parte di tutte le imprese ricorrenti riunite in a.t.i., di semplici fotocopie della certificazione di qualità aziendale UNI EN ISO 9001-2008, corredate da dichiarazioni autocertificate sulla conformità all’originale (cfr. i docc. 22, 29, 35 e 41, depositati dalla difesa di CONTROINTERESSATA s.p.a. in data 15 aprile 2011);

- la conseguente dimidiazione della cauzione provvisoria di cui ha beneficiato l’a.t.i. ricorrente, ai sensi dell’art. 75, settimo comma, del d.lgs. n. 163 del 2006.


Per quanto qui rileva, il paragrafo 8 del disciplinare di gara richiedeva, a pena d’irricevibilità, la presentazione del certificato del sistema di qualità aziendale “… in originale o copia conforme all’originale”, con clausola inequivoca, non irragionevole e rimasta inoppugnata.

I concorrenti, pertanto, non potevano limitarsi ad autocertificare il possesso dell’attestazione, ovvero la conformità all’originale della fotocopia del certificato allegata all’offerta, poiché non ricorrevano i presupposti per il corretto esercizio di tale facoltà, ai sensi degli artt. 19 e 47 del D.P.R. n. 445 del 2000.


In forza di dette norme, la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà può riguardare anche la conformità all’originale della copia di un atto conservato o rilasciato da una pubblica amministrazione, della copia di una pubblicazione ovvero della copia di titoli di studio o di servizio; tale dichiarazione può altresì riguardare la conformità all’originale della copia dei documenti fiscali che devono essere obbligatoriamente conservati dai privati.

Nella specie, non si configura alcuno dei presupposti indicati: viene infatti in rilievo un atto rilasciato e conservato non già da una pubblica amministrazione, bensì da un organismo di diritto privato, ossia dall’ente abilitato a certificare il sistema di qualità aziendale (in questo senso, cfr.: CGA Sicilia, 18 aprile 2006 n. 144; TAR Sicilia, Catania, sez. II, 15 luglio 2009, n. 1331; TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 24 novembre 2004, n. 2603).

Né può ritenersi, in linea generale, che le stazioni appaltanti siano tenute a consentire, in alternativa alla produzione dell’originale, l’autocertificazione della conformità della copia. Il fatto che la legge riconosca, come modalità alternativa all’autentica delle copie, anche la dichiarazione sostitutiva di conformità (ex art. 47 D.P.R. n. 445 del 2000), non ne implica la necessaria ed automatica equipollenza e non esclude che l’Amministrazione possa prescrivere, in funzione di interessi prevalenti rispetto a quelli della mera semplificazione, la produzione del documento in originale o in copia autentica, giacché il richiamato art. 19 del D.P.R. n. 445 del 2000, nel prevedere la modalità alternativa dell’autocertificazione sostitutiva, si riferisce ad atti e documenti conservati o rilasciati da una pubblica amministrazione, mentre la certificazione di qualità è normalmente rilasciata da soggetti di diritto privato abilitati dalla legge, che non detengono l’originale ma rilasciano l’unico attestato al richiedente, il quale solo può documentarne il possesso effettivo in sede di verifica (così, in relazione alle procedure di evidenza pubblica: TAR Veneto, sez. I, 14 gennaio 2005 n. 67).

I precedenti giurisprudenziali apparentemente difformi, invocati da parte ricorrente (Cons. Stato, sez. VI, 19 gennaio 2007 n. 121; Id., sez. VI, 22 marzo 2005 n. 1178), si riferiscono invero a fattispecie nelle quali, innanzitutto, le previsioni della lex specialis di gara non erano così stringenti e perentorie, nel senso di richiedere l’allegazione dell’originale del certificato oppure di copia autenticata, ovvero riguardano il differente regime vigente per gli appalti di lavori pubblici, ove la dichiarazione di conformità è rilasciata dalle SOA, nella loro qualità di organismi di attestazione (equiparabili, per tale profilo, ad una pubblica amministrazione, quanto ad attendibilità delle relative attestazioni, ai sensi dell’art. 4, terzo comma, del D.P.R. n. 34 del 2000).

Discende da quanto detto la fondatezza del primo motivo di ricorso incidentale, non avendo le imprese facenti parte del raggruppamento ricorrente allegato l’originale (o copia autentica) della certificazione di qualità aziendale UNI EN ISO 9001-2008, richiesto a pena d’esclusione dal paragrafo 8 del disciplinare di gara, anche ai fini del dimezzamento della cauzione provvisoria.

non viene riconosciuto il risarcimento del danno da ritardo per mancanza di prove

Deve invece respingersi la congiunta domanda di condanna al risarcimento del danno da ritardo nel rilascio dell’autorizzazione unica, poiché del tutto generica e priva della allegazione sul piano probatorio degli elementi costitutivi, tra cui in primis la stessa esistenza del danno, di cui è pacificamente onerato ex art. 2697 c.c. il soggetto che asserisca tale lesione (ex multis Consiglio Stato, sez. V, 11 maggio 2010, n. 2819).ù


sentenza numero 374 del 23 febbraio 2012 pronunciata dal Tar Puglia, Bari

Parimenti sfornita di prova è la richiesta di ristoro del danno esistenziale, basata sulla mera asserzione di aver vissuto una perdita di compiacimento e di benessere, ma senza alcun valido riscontro

Spetta invece al ricorrente il risarcimento per la perdita di chance , ( criterio che permette di correlare il risarcimento non alla certezza del nesso causale,e quindi di quantificare lo stesso in relazione all’entità del danno,ma alla ragionata possibilità del nesso causale,e quindi di quantificare il risarcimento in una percentuale del danno), chance correlata alla possibilità, qualora fosse stato autorizzato alla costruzione dell’imbarcazione, di esercitare la pesca oltre le sei miglia marine dalla costa e ottenere così maggiori ricavi dalla sua attività.
Sul punto, il ricorrente ha fornito dati oggettivi, mediante l’allegazione delle tabelle relative alle retribuzioni dovute ai pescatori autorizzati a esercitare l’attività entro e oltre le sei miglia marine e fino a 20 miglia dalla costa.
In tal senso è rinvenibile il pregiudizio sofferto, inteso come possibilità ottenibile e non raggiunta (cfr. Cons. Stato – Sez. IV, 27 novembre 2010 n. 8253: “Il danno da perdita di chance costituisce un danno attuale che non si identifica con la perdita di un risultato utile, bensì con quella della concreta possibilità ovvero probabilità di conseguirlo e necessita della sussistenza di una situazione presupposta, concreta ed idonea a consentire la realizzazione del vantaggio sperato da valutarsi sulla base di un giudizio prognostico e statistico fondato sugli elementi di fatto allegati dal danneggiato”).
Va tuttavia precisato che al risarcimento il resistente Ministero è tenuto unicamente per il periodo dalla presentazione dell’istanza (2/10/1986) al provvedimento di diniego del 17/1/1994 (durante il quale ha mantenuto un comportamento inerte),tenuto conto che all’epoca non era normativamente disciplinato un istituto sollecitatorio e quindi non si può fare carico al ricorrente del mancato esercizio dello stesso; e, poi, per l’arco di tempo decorrente dalla pubblicazione della sentenza n. 3371/08 (20/11/2008) sino a quando ha concesso il nulla osta (27/10/2009).
Infatti, solo per tali periodi può collegarsi l’evento lesivo alla colpa dell’Amministrazione, escluso invece l’arco temporale occorso per la definizione del giudizio promosso contro l’originario diniego.

Tar Puglia, Lecce con la sentenza numero 349 del 23 febbraio 2012

CONTRATTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – AGGIUDICAZIONE ILLEGITTIMA – AFFIDAMENTO DEL PRIVATO – TUTELA

La C.S. ha stabilito che la responsabilità della P.A. verso il privato, aggiudicatario di un contratto di appalto in seguito annullato dal giudice amministrativo, non è qualificabile né come aquiliana, né come contrattuale in senso proprio, sebbene a questa si avvicini, poiché consegue al “contatto” tra le parti nella fase procedimentale anteriore alla stipula del contratto e si fonda sulla violazione del dovere di buona fede e correttezza per avere leso l’interesse del privato, non qualificabile come interesse legittimo, ma assimilabile al diritto soggettivo alla regolarità e legittimità dell’aggiudicazione


CASSAZIONE_ Sezione Prima Civile_ Sentenza n. 24438 del 21 novembre 2011

APPALTO – PROCEDIMENTO DI AGGIUDICAZIONE – AUTOCERTIFICAZIONE DA PARTE DEL PRIVATO – POTERI DI CONTROLLO DELLA P.A

La Corte di Cassazione ha stabilito che il potere di autocertificazione riconosciuto al privato nei casi previsti dalla legge non è svincolato da ogni controllo sulla veridicità della stessa autocertificazione da parte della P.A., la quale è tenuta a verificare la complessiva affidabilità dei concorrenti nell’aggiudicazione delle gare di appalto, anche mediante riscontro diretto dei dati del casellario giudiziario, essendo, a tal fine, il certificato richiesto da soggetti diversi dall’interessato equiparato a quello richiesto dall’interessato stesso


CASSAZIONE_ Sezione Prima Civile_ Sentenza n. 19364 del 22 settembre 2011

APPALTO PUBBLICO - ART. 38, COMMA 1, LETTERA F), DEL D.LGS. N. 163 DEL 2006 - VALUTAZIONE DI INAFFIDABILITA' DA PARTE DELLA STAZIONE APPALTANTE

-          AMPIA DISCREZIONALITA' - SINDACATO DA PARTE DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO - LIMITI - ADOZIONE DEL CRITERIO DELLA "NON CONDIVISIONE" - SUPERAMENTO DEI LIMITI ESTERNI DELLA GIURISDIZIONE


In tema di appalti pubblici le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con due sentenze in pari data, hanno affermato che il Consiglio di Stato eccede dai limiti della propria giurisdizione, sconfinando nella sfera della discrezionalità amministrativa, qualora – in relazione all’impugnazione di provvedimenti di esclusione dalla possibilità di partecipare ad un bando di gara per inaffidabilità dell’appaltatore – li annulli sulla base della non condivisione degli elementi posti dalla P.A., senza ravvisare la pretestuosità di tale valutazione.


CASSAZIONE_ Sezioni Unite_ Sentenza n. 2313 del 17 febbraio  2012

l'autonoma aggiudicabilità dei lotti risulta incompatibile con la configurazione di una gara di carattere unitario

l'effettiva pluralità di gare non impediva ad un'impresa di partecipare in forma singola per determinati lotti e - nel contempo - in r.t.i. con un'altra impresa per un lotto diverso

E’ agevole osservare che:
1) la ricorrente ha partecipato alla gara presentando domanda per tre distinti lotti;
2) per due lotti si è presentata in forma singola e per un terzo lotto si è presentata in raggruppamento temporaneo con la cooperativa progetto H;
3) il bando di gara, in sostanza, disciplinava 13 gare differenti come correttamente fatto rilevare dalla difesa della ricorrente la cui interpretazione delle norme di gara e dell’art. 37 del d.lgs. 163 del 2006 è del tutto condivisibile;
4) l’art. 37 comma 7 recita: “E' fatto divieto ai concorrenti di partecipare alla gara in più di un raggruppamento temporaneo o consorzio ordinario di concorrenti, ovvero di partecipare alla gara anche in forma individuale qualora abbia partecipato alla gara medesima in raggruppamento o consorzio ordinario di concorrenti. I consorzi di cui all'articolo 34, comma 1, lettera b), sono tenuti ad indicare, in sede di offerta, per quali consorziati il consorzio concorre; a questi ultimi è fatto divieto di partecipare, in qualsiasi altra forma, alla medesima gara; in caso di violazione sono esclusi dalla gara sia il consorzio sia il consorziato; in caso di inosservanza di tale divieto si applica l'articolo 353 del codice penale” (comma così sostituito dall'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 113 del 2007, poi così modificato dall'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2008, poi così modificato dall'art. 17 della legge n. 69 del 2009).
La disposizione sopra citata salvaguarda il principio della concorrenza evitando la contemporanea partecipazione alla gara di soggetti che - in quanto aspiranti all'esecuzione del medesimo contratto sotto la veste di diverse figure soggettive - si trovino nella condizione di finalizzare le proprie offerte ad indirizzare il risultato della gara (cfr., tra le altre, TAR Abruzzo, L'Aquila, Sez. I, 16 marzo 2010, n. 203).
In una gara come quella in esame, caratterizzata dalla sostanziale divisione dell'appalto in lotti, il bando di gara è da configurarsi quale atto ad oggetto plurimo e, precisamente, quale atto prescrivente l'indizione non di una gara per l'aggiudicazione di un appalto unico, ma di tante gare quanti sono i lotti in relazione ai quali deve intervenire l'aggiudicazione.
Il caso all’attenzione del Collegio che vede l'autonoma aggiudicabilità dei lotti risulta incompatibile con la configurazione di una gara di carattere unitario, per la semplice ragione che le procedure concorsuali, sono dirette alla conclusione di tanti contratti di appalto quanti sono i lotti: se ciascun lotto può essere aggiudicato a concorrenti diversi, è evidente che non ci si trova di fronte ad un appalto unitario e se non vi è appalto unitario non vi è unicità della gara.
In definitiva, l'effettiva pluralità di gare non impediva ad un'impresa di partecipare in forma singola per determinati lotti e - nel contempo - in r.t.i. con un'altra impresa per un lotto diverso.
Il ricorso è, in conclusione, fondato e deve essere accolto.

Tar Sardegna, Cagliari con la sentenza numero 189 del 22 febbraio 2012

negli appositi spazi riservati alla firma del contraente, sono riportati i timbri e le sottoscrizioni di entrambe le parti ricorrenti

L’ATI ricorrente avrebbe prodotto una polizza fidejussoria intestata soltanto alla capogruppo.
Anche tale terzo motivo di ricorso incidentale va disatteso.
La contestazione della polizza si riferisce chiaramente ad entrambe le imprese; circostanza confermata dai “patti aggiuntivi” e dagli allegati.
Viene anche evidenziato che, negli appositi spazi riservati alla firma del contraente, sono riportati i timbri e le sottoscrizioni di entrambe le parti ricorrenti


sentenza numero 487 del 24 febbraio 2012 pronunciata dal Tar Sicilia, Catania

principio dell'autotutela decisoria

tutti gli atti di gara, a partire dal bando per finire all’aggiudicazione definitiva, possono formare oggetto di ritiro in via di autotutela decisoria in funzione di riesame

Tale principio è stato consacrato dall’art. 11, co. 9, del d.lgs. n. 163 del 2006 – c.d. codice dei contratti pubblici – che nel disciplinare il termine finale per la stipulazione del contratto fa comunque salvo il potere di autotutela dell’amministrazione: la disposizione chiarisce quale sia, per la stazione appaltante, la portata del vincolo derivante dall’intervenuta aggiudicazione.

L’amministrazione non è infatti incondizionatamente tenuta alla stipulazione del contratto, ma l’impegno conseguente alla definitiva individuazione dell’aggiudicatario può essere eliminato solo attraverso le procedure tipiche che regolano l’esercizio del potere di autotutela ora codificate dalla l. n. 241 del 1990 come novellata nel 2005.

La norma sancita dall’ art. 11 cit. non è tuttavia esaustiva dell’autotutela in materia di appalti pubblici che non riguarda solo l’aggiudicazione, ma anche gli altri atti di gara, e che soggiace alle regole elaborate dalla giurisprudenza ed ora codificate dalla l. n. 15 del 2005.

Già prima della l. n. 15 del 2005 e del codice dei contratti pubblici, si è riconosciuto che nei procedimenti di gara, al di là degli atti tipici finalizzati allo scopo di verificare la legittimità dell’iter di formazione del contratto (quali l’approvazione e l’eventuale controllo), dovesse ritenersi vigente il generale principio dell’autotutela decisoria; pertanto, in aggiunta agli strumenti tipici di verifica immediata dell’attività compiuta dall’amministrazione, deve ritenersi consentito l’esercizio del generale potere di riesame in un momento successivo alla conclusione del procedimento; dunque l’estrinsecazione del potere di autotutela della p.a. non incontra alcun limite insuperabile nella convenzione intervenuta con il privato: i diritti e i doveri delle parti derivanti dall’accordo non sottraggono l’atto amministrativo presupposto al potere di autotutela.

In linea generale può affermarsi che anche dopo l’entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo, il rapporto di incidenza fra autotutela amministrativa e giudicato del g.a. non deve essere risolto aprioristicamente (con l’affermazione assoluta della prevalenza del secondo sul primo), ma affidato in concreto al riscontro dell’esatta portata del medesimo giudicato e del bene della vita riconosciuto; sicché, ove il giudicato non inibisca l’esercizio dei tratti liberi dell’azione amministrativa (secondo la regola generale sancita adesso dall’art. 34, co. 2, primo periodo, c.p.a.), ovvero ne consenta espressamente la riedizione (come nel caso di specie), è inconfigurabile una situazione di inottemperanza (nella triplice enfatica epifania della mancata esecuzione, violazione o elusione).



Passaggio tratto dalla decisione numero 1054 del 23 febbraio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

L’immanenza del potere di autotutela decisoria trova fondamento:

a) nel principio costituzionale di buon andamento ed imparzialità della funzione pubblica, senza che, a tal fine, occorra una diffusa motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico;

b) nel principio di diritto comune enucleato dall’art. 1328 c.c., in base al quale la proposta di concludere il contratto (qual è l’atto di indizione della gara, ancorché espressa in forma pubblicistica e subordinata all’osservanza delle regole procedimentali per la scelta del contraente), è sempre revocabile fino a che il contratto non sia concluso.

Le caratteristiche fin qui illustrate del potere di autotutela decisoria in materia di procedure di appalto devono essere coordinate con i vincoli cassatori, rinnovatori e conformativi scaturenti dal giudicato di annullamento degli atti di gara.

macroscopica inattendibilità della valutazione tecnica della pa

Esistono gravi e concordanti indizi che sono sintomatici della manifesta irragionevolezza della valutazione di non anomalia compiuta dall’Amministrazione in sede di verifica dell’offerta dell’aggiudicataria


risulta determinante la circostanza che la stazione appaltante abbia accettato senza particolari approfondimenti istruttori e senza una adeguata motivazione, una serie dati che, specie se valutati globalmente, sono, invece, fortemente sintomatici dell’anomalia che inficia l’offerta dell’aggiudicataria.

A fronte di un utile di impresa pressoché irrisorio, di numerose voci di costo indicate in misura particolarmente esigua, se non addirittura azzerate, sulla base, fra l’altro, di motivazioni che, anche alla luce di criteri di comune esperienza, risultano scarsamente attendibili, la decisione della stazione appaltante di ritenere congrua l’offerta risulta, in effetti, viziata da palese illogicità e difetto di istruttoria


il sindacato giurisdizionale sulla valutazione di anomalia delle offerte non deve consistere nella integrale ripetizioni delle operazioni valutative compiute dalla stazione appaltante, ma solo verificare, nei limiti della domanda, la correttezza del procedimento e la ragionevolezza delle scelte conclusive.



Ugualmente, si deve ribadire che non esiste una quota di utile rigida al di sotto della quale la proposta dell’appaltatore debba considerarsi per definizione incongrua, e che pertanto il giudizio di anomalia non può essere giustificato facendo esclusivo riferimento a tale dato, rientrando nella liberta di iniziativa economica dell’impresa anche la possibilità, pur di aggiudicarsi l’appalto, di accettare margini di profitto anche significativamente bassi.


Passaggio tratto dalla decisione numero 1019 del 23 febbraio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

A differenza di quanto sostengono le Amministrazioni appellanti, questo giudizio di illogicità non implica alcun esercizio di poteri sostitutivi da parte del giudice: il T.a.r. non si è sostituito alla stazione appaltante, ma si è limitato a riscontrare, sulla base di dati certamente sintomatici e significativi, puntualmente riportati in sentenza, la macroscopica inattendibilità della valutazione tecnica compiuta dall’Amministrazione. Tale controllo rientra senz’altro nel contenuto del sindacato giurisdizionale consentito al giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche compiute dall’Amministrazione in sede di giudizio di anomalia.

sulle modalità del contradditorio delle offerte anomale e della discrezionalità del Tar

il procedimento di verifica di anomalia è avulso da ogni formalismo inutile ed è invece improntato alla massima collaborazione tra stazione appaltante e offerente.

Il procedimento di verifica della anomalia della offerta, pertanto, si deve ritenere conforme alle disposizioni di cui all’art. 88 D.lgs. 163-06.



In specifico, è necessario, sotto il profilo sostanziale: che il contraddittorio sia effettivo; che non vi siano preclusioni alla presentazione di giustificazioni ancorate al momento della scadenza del termine di presentazione delle offerte; che mentre l'offerta debba essere immodificabile, modificabili siano invece le giustificazioni; che siano ammesse giustificazioni sopravvenute e compensazioni tra sottostime e sovrastime, purché l'offerta risulti nel suo complesso affidabile al momento dell'aggiudicazione, e a tale momento dia garanzia di una seria esecuzione del contratto (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3146).



Nel caso in esame, l’ulteriore comparizione in audizione personale della offerente (che non risulta neppure richiesta dall’offerente) è da ritenersi del tutto inutile e, anzi, gravosa per il procedimento, improntato a celerità ed efficienza, con la conseguenza che la sua omissione non può esorbitare in causa di illegittimità, anche ai sensi dell’art. 21-ociotes, comma 2, l. 241-90, trattandosi di una mera inosservanza formale, priva di lesività sostanziale, e non prevista neppure dalla legge, atteso che, come detto, la fase orale del contradditorio per l’esame dell’anomalia dell’offerta era già stata conclusa.


il Giudice Amministrativo può sindacare le valutazioni compiute dalla P.A. sotto il profilo della loro logicità e ragionevolezza e della congruità dell'istruttoria, ma non può operare autonomamente la verifica della congruità dell'offerta presentata e delle sue singole voci, poiché, così facendo, invaderebbe una sfera propria della P.A., in esercizio di discrezionalità tecnica


passaggio tratto dalla decisione 875 del 20 febbraio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

In specifico, si deve osservare che la parte ricorrente in primo grado aveva fornito le giustificazioni richieste con nota del 26.6.2008 (doc. 21 P.A., fascicolo di primo grado); con ulteriore nota del 10-17.9.2008 (doc. 23 P.A., fascicolo di primo grado) la parte ricorrente forniva altri chiarimenti (non richiesti, ma comunque valutati) e documenti; con nota prot. 39341 del 19.9.2008 (doc. 22 P.A., fascicolo di primo grado) la Stazione Appaltante convocava nell’ambito della procedura di verifica della anomalia della offerta la parte ricorrente; l’audizione si teneva regolarmente in data 22.9.2008 (cfr. nota 29.9-1.10.2008, doc. 24 P.A., fascicolo di primo grado) ed, all’esito della stessa, la parte ricorrente presentava ulteriori chiarimenti scritti e documenti con la predetta ulteriore nota; la relazione del Presidente della Commissione veniva redatta e illustrata in seduta (verbale n. 7 del 14.10.2008, doc. 14 P.A., fascicolo di primo grado) aprendovi una discussione e, all’esito della stessa e del procedimento di verifica della anomalia attivato, la Commissione procedeva alla esclusione della offerta, assumendo la relativa decisione.

Il procedimento di verifica della anomalia della offerta, pertanto, si deve ritenere conforme alle disposizioni di cui all’art. 88 D.lgs. 163-06.

(…)

Nel caso in esame, infatti, il Collegio ritiene che sia stato condotto accuratamente il giudizio di anomalia, inteso come giudizio avente natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell’offerta nel suo insieme, espressione di un potere tecnico-discrezionale dell’Amministrazione di per sé insindacabile in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui le valutazioni siano manifestamente illogiche o fondate u insufficiente motivazione o affette da errori di fatto, tutte circostanze che non si riscontrano nel caso di specie.

Questa aspetto di correttezza amministrativa della valutazione dell’anomalia riguarda sia le giustificazione relative alle condizioni eccezionalmente favorevoli di cui dispone l’ATI per l’esecuzione dei lavori, ove l’appellante incidentale contesta in maniera sostanzialmente apodittica sconti di cui gode l’attuale appellata e su cui la relazione di anomalia si è diffusa analiticamente; sia le giustificazioni del costo orario della manodopera, ove l’anomalia non può emergere, come è noto, dal mero discostarsi da medie tabellari aventi significato statistico; sia, infine, l’incidenza delle spese generali, la valutazione del consumo medio annuo, nonché la valutazione complessiva sulla rimuneratività dell’offerta, rispetto alle quali l’appellante incidentale tende inammissibilmente a sostituire sue proprie valutazioni a quelle compiute dalla Commissione, senza evidenziare l’evidente errore logico o di fatto, che appare così insussistente.

Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere respinto il ricorso di primo grado.