giovedì 31 maggio 2012

responsabilità precontrattuale_riconosciute le spese di progettazione e custodia cantiere

Con riferimento alla domanda risarcitoria, deve convenirsi col primo giudice che l’acclarata legittimità del diniego di approvazione non preclude l’esame della domanda risarcitoria per responsabilità precontrattuale,


con riferimento alla valutazione del comportamento negoziale dell’Amministrazione, quando essa, come nel caso di specie, abbia lasciato trascorrere un apprezzabile lasso di tempo tra la risoluzione del precedente contratto e il diniego di approvazione del nuovo contratto (oltre un anno), in violazione del dovere di buona fede che incombe su tutta l’attività delle parti, dal “contatto” alla stipulazione del contratto, o alla sua giustificata mancata stipulazione

Né può sostenersi che, prima della risoluzione del precedente contratto -come preteso dalle Amministrazioni nell’appello incidentale, che risulta quindi infondato sul punto- la società appellante potesse e dovesse essere consapevole di versare in una situazione che avrebbe determinato il diniego di approvazione, poiché ogni valutazione in ordine alla gravità e serietà dei ritardi (peraltro contestati nella loro imputabilità) nell’andamento dei lavori di ristrutturazione dell’immobile sede dell’Ambasciata d’Italia a Algeri e della loro incidenza sull’approvazione del successivo contratto era, ovviamente, rimessa all’apprezzamento unilaterale dell’Amministrazione appaltante

Non può peraltro accogliersi la domanda risarcitoria nei termini riproposti dall’appellante principale, e quindi comprensiva del lucro cessante, calcolato nella nota percentuale del 10% sull’importo dei lavori.

Al contrario, deve ammettersi il risarcimento per il profilo del danno emergente, e quindi il ristoro delle spese di progettazione esecutiva, indicate dall’appellante principale in misura pari ad € 235.700,00, al netto del ribasso di gara, nonché delle spese sostenute per la custodia del cantiere, indicate come pari a € 102.666,74,00.

Sotto quest’ultimo profilo, le Amministrazioni appellanti incidentali non negano che sia stata assicurata la custodia del cantiere, risultando irrilevante che essa sia riferibile anche a materiali e mezzi relativi ad altri lavori, a suo tempo commissionati alla stessa società, né hanno contestato la misura delle anzidette spese.

Tratto dalla decisione numero 3270 del 31 maggio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

il risarcimento del danno da provvedimento illegittimo presuppone una verifica sul caso concreto

ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., il danno è risarcibile soltanto laddove esso consiste in un danno/evento ingiusto,

tale essendo quello consistente nella lesione di un interesse meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, che fonda la sussistenza di una posizione soggettiva.

Deve trattarsi di un danno che presuppone la titolarità di un interesse apprezzabile, differenziato, giuridicamente rilevante e meritevole di tutela e che inerisce al contenuto stesso della posizione sostanziale.

Tale danno ingiusto deve essere inoltre ricollegabile, con nesso di causalità immediato e diretto, al provvedimento impugnato, e, nel caso in cui la posizione di interesse legittimo appartenga alla species del cd. interesse pretensivo, esso deve concernere l’ingiusto diniego o la ritardata emanazione di un provvedimento amministrativo richiesto.

Secondo questo Consiglio di Stato (sez. V, 2 febbraio 2008 n. 490) “il danno, per essere risarcibile, deve essere certo e non meramente probabile, o comunque deve esservi una rilevante probabilità del risultato utile” e ciò è quello che “distingue la chance risarcibile dalla mera e astratta possibilità del risultato utile, che costituisce aspettativa di fatto, come tale irrisarcibile”.


Tratto dalla decisione numero 2974 del 22 maggio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

Non può essere riconosciuto il risarcimento in forma specifica ma solo per perdita di chance

La domanda del risarcimento in forma specifica, ovvero del subentro contrattuale non può essere accolta

In conseguenza di ciò la domanda di risarcimento va accolta limitatamente alla perdita di chance per l’esclusione dalla gara, esclusione il cui annullamento non ha avuto esecuzione specifica, esecuzione che doveva derivare dalla necessaria ripetizione della gara.


Quindi, quanto al pregiudizio per la perdita di chance legata all’impossibilità di aggiudicarsi il contratto e di far valere nelle future contrattazioni il requisito economico legato all’esecuzione del servizio, può nella specie stabilirsi in via equitativa la liquidazione di tale voce nella misura del 2% del prezzo offerto dall’appellante in sede di domanda di partecipazione

Passaggio tratto dalla decisione numero 3066 del 25 maggio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

obbligatoria applicazione del termine di stand still anche alle concessioni di servizi

Non coglie nel segno l’obiezione circa l’inapplicabilità del termine di “stand still” alle concessioni di servizi

la direttiva 2007/66/CE stabilisce che le violazioni del termine sospensivo obbligatorio e della sospensione automatica (cd. stand still procedimentale e processuale) sono presupposti essenziali per ricorsi efficaci, e l’inosservanza deve essere accompagnata da sanzioni effettive


L’art. 11 comma 10 del D. Lgs. 163/2006 trova ingresso per tutte le procedure di affidamento dei contratti pubblici (cfr. rubrica della disposizione e art. 1 del Codice), tenuto conto di quanto dispone l’art. 3 comma 36 ai sensi del quale “Le «procedure di affidamento» e l’«affidamento» comprendono sia l’affidamento di lavori, servizi, o forniture, o incarichi di progettazione, mediante appalto, sia l’affidamento di lavori o servizi mediante concessione, sia l’affidamento di concorsi di progettazione e di concorsi di idee”.


Né può sottacersi che l’uniforme operatività di prescrizioni che garantiscono adeguata tutela ai concorrenti di una selezione ad evidenza pubblica è coerente con i principi enucleati all’art. 2 comma 1 del Codice dei contratti, per cui “L’affidamento … di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve … svolgersi nel rispetto dei principi di …. libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione …”.

Osserva poi il Collegio che la scelta del concessionario di un servizio deve in ogni caso avvenire “nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, ..” (cfr. art. 30 del D. Lgs. 163/2006) e l’art. 11 del Codice è collocato nel titolo I recante principi e disposizioni comuni a tutti i contratti pubblici.


Passaggio tratto dalla sentenza numero 618 del 10 aprile 2012 pronunciata dal Tar Lombardia, Brescia

non impugnare la propria esclusione, preclude al ricorso avverso l'aggiudicazione

nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici, la legittimazione al ricorso deve essere correlata ad una situazione differenziata, in modo certo, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione,

salvi i casi nei quali il soggetto contesti, in radice, la scelta della stazione appaltante di indire la procedura, oppure l’operatore economico “di settore” contesti un “affidamento diretto” o senza gara, oppure venga contestata una clausola del bando “escludente”, in relazione all’illegittima previsione di determinati requisiti di qualificazione.

Al di fuori di tali ipotesi tassative, resta fermo il principio secondo il quale la legittimazione al ricorso, nelle controversie riguardanti l’affidamento dei contratti pubblici, spetti esclusivamente ai soggetti partecipanti alla gara, poiché solo tale qualità si connette all’attribuzione di una posizione sostanziale differenziata e meritevole di tutela.



In questa veste, il ricorrente che ha partecipato legittimamente alla gara può far valere tanto un interesse “finale” al conseguimento dell’appalto affidato al controinteressato, quanto, in via alternativa (e normalmente subordinata) l’interesse “strumentale” alla caducazione dell’intera gara e alla sua riedizione (sempre che sussistano, in concreto, ragionevoli possibilità di ottenere l’utilità richiesta).

Quale corollario a tale premessa teorica, l’Adunanza Plenaria ha evidenziato che la mera partecipazione (di fatto) alla gara non è sufficiente per attribuire la legittimazione al ricorso.

La situazione legittimante costituita dall’intervento nel procedimento selettivo, infatti, deriva da una qualificazione di carattere normativo, che postula il positivo esito del sindacato sulla ritualità dell’ammissione del soggetto ricorrente alla procedura selettiva.

Pertanto, la definitiva esclusione o l’accertamento dell’illegittimità della partecipazione alla gara impedisce di assegnare al concorrente la titolarità di una situazione sostanziale che lo abiliti ad impugnare gli esiti della procedura selettiva.

Nel caso di specie, il ricorrente in primo grado è stato destinatario di un provvedimento di esclusione in quanto non aveva presentato il documento di riconoscimento nella busta dell’offerta.

Tale provvedimento di esclusione non è stato impugnato ed è, dunque, divenuto definitivo, privandolo della legittimazione ad impugnare l’esito conclusivo della gara, anche laddove si faccia valere, come nella specie, un vizio tale da determinare, in astratto, la caducazione completa e l’eventuale successiva riedizione.

la stazione appaltante può anche scegliere di non aggiudicare

La questione centrale della controversia concerne il significato da attribuire al termine “offerta valida”, avendo la lex specialis di gara espressamente  stabilito che” non si procederà all’aggiudicazione in presenza di un’unica offerta valida”.

La clausola costituisce applicazione pedissequa dell’art. 55 del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 che, al quarto comma, stabilisce che “il bando di gara può prevedere che non si procederà ad aggiudicazione nel caso di una sola offerta valida, ovvero nel caso di due sole offerte valide, che non verranno aperte. Quando il bando non contiene tale previsione, resta comunque ferma la disciplina di cui all'articolo 81 comma 3”.

Ebbene, ritiene il Collegio che debba essere condivisa la tesi di parte ricorrente; innanzitutto, da un punto di vista letterale, il riferimento ad offerte valide “che non verranno aperte”, lascia intendere che ogni verifica rilevante ai fini dell’applicazione della clausola invocata non potrebbe mai riguardare aspetti dell’offerta conosciuti successivamente all’apertura del plico e, come tali, afferenti al contenuto materiale e ideologico della documentazione di cui essa si compone;

Tratto dalla sentenza numero 2397 del 23 maggio 2012 pronunciata dal Tar Campania, Napoli


a stazione appaltante non può disapplicare, autonomamente, il proprio bando

quando in un' offerta nella gara per l'aggiudicazione di un contratto della p.a. vi sia contrasto tra il prezzo indicato in lettere e quello espresso in cifre, è valida l' indicazione più favorevole per la committente


Il bando di gara non ha valenza regolamentare ma integra l'ipotesi di atto generale, facendo da tale qualificazione discendere la conseguenza che, a prescindere dal tipo di illegittimità (nazionale o comunitaria-, il bando di concorso non può essere mai disapplicato, sussistendo nei suoi confronti esclusivamente l'onere di immediata impugnazione quando esso arrechi un'immediata lesione, per i contenuti concernenti i requisiti di partecipazione, tali da precludere « ex ante » la proposizione, con esito favorevole, della domanda di ammissione, quali quelli che, come nella specie, ammettono od escludono determinate categorie di soggetti (ovvero l'annullamento del bando stesso da parte della p.a. che lo ha emanato). D'altronde, il bando di gara non è un atto a valenza normativa, come invece i regolamenti -per i quali si invoca, al contrario, in quanto tali, il principio della disapplicazione-, ma è un atto generale e al g.a. non è dato il potere di disapplicare atti amministrativi non aventi valenza regolamentare .Consiglio Stato , sez. VI, 30 settembre 2008 , n. 4699);


Detta giurisprudenza è stata condivisa ancora di recente, dalla giurisprudenza amministrativa di primo grado (ex multis: “nel caso in cui il bando di gara, il disciplinare o la lettera di invito prevedano espressamente una circostanza come motivo di esclusione, non è possibile, salva l'impugnativa della clausola medesima, non adottare il relativo provvedimento applicativo, stante l'impossibilità per la commissione giudicatrice di disapplicare, ove illegittimo, il regolamento di gara ed essendo, ancora, il sistema di giustizia amministrativa imperniato sulla regola dell'impugnabilità dei provvedimenti lesivi e non della loro disapplicazione, salve le ipotesi in cui essa è ritenuta possibile.”T.A.R. Sicilia Palermo, sez. III, 01 aprile 2011 , n. 646) sebbene si siano levate in dottrina voci dissonanti, quantomeno laddove il bando confligga con la normativa comunitaria, talvolta spingendosi ad ipotizzare che una tale confliggenza importi un vizio di nullità che, quindi, non osterebbe alla relativa declaratoria ex officio, potendo in alternativa essere denunciata senza limiti di tempo.

Il Collegio non intende immorare su tale questione, dovendosi limitare a rimarcare che neppure sono stati indicati dalla stazione appaltante i fondamenti del lamentato “dubbio di compatibilità comunitaria”, mentre, per altro verso, la circostanza che la prescrizione (oltre ad essere espressamente ribadita, per ben due volte, nel bando e nel disciplinare di gara) riproduceva una disposizione di legge vigente, e, disciplinando le modalità di formulazione della offerta la disapplicazione della stessa si risolveva nella ingiusta espulsione di una impresa che aveva avuto l’unico torto di conformarsi alla detta prescrizione, impedisce radicalmente di avallare l’azione amministrativa avversata.

Si verte in tema di conseguenze espulsive discendenti da una inammissibile disapplicazione che, seppure nel lodevole intento di evitare che una lex specialis possa porsi in contrasto con principi generali dell’ordinamento o con puntuali disposizioni normative di matrice nazionale o comunitaria finisce con il ledere le esigenze superiori di par condicio e trasparenza sottese al rilievo dell’autovincolo discendente (e previsto) nel bando.

Né a tale approdo può giungersi valorizzando la circostanza che le altre concorrenti non si fossero conformate alla prescrizione del bando citata ed invocando per tal via il principio di massima partecipazione ed apertura al mercato dei pubblici incanti perché esso si risolve in una immotivata sanzione espulsiva applicata alle imprese che, in buona fede si siano conformate alla lex specialis (ed alla norma di legge, vigente ratione temporis, ed espressamente richiamata dal bando).

Per completezza si evidenzia che l’Amministrazione, laddove convinta della confliggenza del bando con disposizioni primarie nazionali o comunitarie può valutare l’esercizio dell’immanente potere di autotutela alla stessa spettante. Ma non certo procedere ad una disapplicazione mirata dello stesso, tanto più laddove si risolva in danno delle offerenti che ebbero a conformar visi e determini conseguenze espulsive “automatiche” in assenza di alcun giudizio di “rimproverabilità” a carico della offerente.


prevale la tesi sostanzialista nel dichiarare illegittima l'esclusione

la mancata ri-allegazione nella fase dell’offerta del medesimo documento già prodotto in quella preliminare di prequalificazione, non può essere causa di esclusione


tenuto conto dell’unicità del procedimento concorsuale in cui essa si è realizzata e della sua conseguente non incidenza sostanziale sul procedimento, non poteva costituire, proprio in base al disposto di cui all’art. 11.2. del bando di gara, sic et simpliciter una legittima causa di esclusione, determinando al contrario, in capo alla stazione appaltante, il sorgere dell’obbligo di esercizio dei propri poteri di verifica in ordine alla perdurante attualità della situazione giuridico-soggettiva già evidenziata dal concorrente nella fase di prequalifica.


La regola concorsuale sopra evidenziata (e non ottemperata dalla stazione appaltante nella fattispecie oggetto di giudizio) risulta peraltro conforme, oltre che all’irrinunciabile canone di correttezza dell’agire dell’Amministrazione, al principio del favor partecipationis, nel rispetto della par condicio dei concorrenti nella sua effettiva e reale portata sostanziale.

Tratto dalla sentenza numero 694 del 15 maggio 2012 pronunciata dal Tar Veneto, Venezia

mercoledì 30 maggio 2012

Confermato il danno da ritardo per 187.935.329 di vecchie lire a fronte della richiesta di cinque miliardi di vecchie lire

quanto alla prima voce di danno (emergente), si è già osservato come la Casa di cura avrebbe in ogni caso sostenuto tali spese anche se l’accreditamento le fosse stato riconosciuto tempestivamente, il che equivale a dire che tali costi non sono imputabili all’illecito ritardo provocato dall’amministrazione, ma sono strettamente legati all’attività imprenditoriale della Casa di cura

Per tacere del fatto che, a distanza di tempo, quelle stesse spese sono state presumibilmente ammortizzate e che la maggior parte dei documenti – che dovrebbero attestare il loro effettivo pagamento - sono stati prodotti solo nel giudizio di appello, in violazione del divieto di cui all’art. 104, comma 2, c.p.a. (il solo documento depositato in primo grado, n. 7, era un semplice elenco di costi ad uso interno).

Per quanto attiene, invece, alla seconda voce, ossia il mancato guadagno, la richiesta di CTU, cui in tutto questo tempo non si è mai accompagnata la produzione di relazioni peritali di parte, si conferma come del tutto esplorativa oltre che, a distanza di molti anni, di dubbia utilità pratica. Del resto, come ben noto, la consulenza tecnica non è un mezzo di prova in senso stretto ma, piuttosto, uno strumento di valutazione, ovvero di misurazione, di una prova già acquisita per altra via, e che quindi non può mai supplire al difetto di allegazione e di dimostrazione della parte onerata a farlo (v. Cons. St., V, n. 1739/2011 e 6688/2010).

Nella vicenda in esame, quindi, la sola prova del lucro cessante raggiunta è stata quella, di natura presuntiva, originata dai conteggi “volontariamente” offerti in primo grado dalla Regione, conteggi peraltro in tale circostanza neppure contestati dalla Casa di cura, in un tempo in cui il principio di non contestazione cominciava già ad essere teorizzato ed applicato dalla giurisprudenza della Cassazione, prima ancora che fosse codificato anche dal legislatore (v. ora art. 64 comma 2 c.p.a.).


Passaggio tratto dalla decisione numero 3245 del 30 maggio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

è a carico della parte attrice la dimostrazione degli elementi costitutivi dell'illecito

è necessario ricordare anche come nel giudizio risarcitorio non possa avere ingresso il metodo acquisitivo, applicato tradizionalmente al giudizio impugnatorio.

Ciò sul rilievo che, nelle controversie risarcitorie, il privato ha la piena disponibilità degli elementi di prova sui quali fonda la propria domanda di condanna e che, quindi, è suo onere esclusivo introdurli in giudizio, facendosi piena applicazione della regola generale di cui all’art. 2697 c.c. (v. art. 64 comma 1 c.p.a. e, in giurisprudenza, Cons. St., sez. VI, 24 settembre 2010, n. 7124).

Detto in altri termini, l’autonomia del giudizio risarcitorio rispetto a quello impugnatorio, affermata con particolare forza dalla Corte di Cassazione e di recente riconosciuta anche dal Consiglio di Stato al suo massimo livello (v. Ad. Plen. n. 3/2011), comporta che il primo giudizio debba svolgersi secondo canoni processuali in parte diversi ed originali rispetto alla tradizione del processo amministrativo, come risulta evidente proprio sul terreno dell’istruzione probatoria, dove è a carico della parte attrice l’onere di allegare e provare tutti gli elementi costitutivi dell’illecito (condotta, evento, nesso di causalità, colpa e danno).


Al lume di tale principio generale, nel caso di specie è evidente lo scarto tra la misura elevata del risarcimento chiesto dal privato, pari a circa cinque miliardi di vecchie lire, e la stringatezza delle allegazioni poste a fondamento dell’atto di appello, così come a suo tempo del ricorso introduttivo nel giudizio di primo grado.

Secondo la prospettazione di parte appellante, tali allegazioni sarebbero suffragate, quanto al danno emergente (costi sostenuti per l’acquisto dei macchinari), essenzialmente dalla documentazione prodotta in giudizio, e, per quanto attiene al lucro cessante, dovrebbero essere confermate (rectius, dimostrate) dall’esito di una CTU che si chiede al Collegio di disporre.

Passaggio tratto dalla decisione numero 3245 del 30 maggio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

bisogna ricostruire la situazione che si sarebbe determinata senza il verificarsi del fatto illecito

Deve sottolinearsi, in via preliminare, sulla scorta delle distinzioni largamente seguite in dottrina e giurisprudenza, come quello invocato dalla Casa di Cura sia un “tipico” danno da ritardo, legato ai circa nove mesi durante i quali alla struttura privata fu negato l’accreditamento dalla Regione Toscana


Il rilievo non è secondario perché vale ad escludere, in radice, che la Casa di cura potesse e possa fondatamente chiedere il ristoro di spese e di costi che, in ogni caso, avrebbe sostenuto e che, presumibilmente, avrà ampiamente ammortizzato nel non poco tempo da allora trascorso. Sicché il danno da valutare è essenzialmente quello del mancato guadagno (v. art.l’art. 1223 c.c. richiamato dall’art. 2056 c.c.) che coincide con l’utile ovvero con il profitto che la Casa di cura avrebbe potuto ritrarre ove, a suo tempo, le fosse stato riconosciuto tempestivamente l’accreditamento richiesto e ad essa spettante

Detto in altri termini, muovendo da una nozione patrimonialistica di danno, tanto più giustificata se riferita ad un ente avente natura imprenditoriale qual è l’odierna appellante, si tratta di ricostruire attraverso un giudizio probabilistico la situazione che si sarebbe determinata ove il fatto illecito non si fosse verificato (cd. ipotesi della differenza).

Nel caso di specie si tratta quindi di ricostruire quella che sarebbe stata la – differente (nel senso di migliore) - situazione patrimoniale della Casa di cura se, a suo tempo, avesse ottenuto tempestivamente l’accreditamento dalla Regione Toscana, senza aspettare circa nove mesi. Ciò al fine evidente di porre il privato nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se l’illecito non fosse stato commesso, così compensandolo della perdita ingiustamente subita.

Passaggio tratto dalla decisione numero 3245 del 30 maggio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

per la tassatività delle cause di esclusione, non è legittimo imporre inserimenti nella busta tecnica

propri atti di gara solo due tipologie di clausole escludenti:

a) clausole che riproducono obblighi previsti dal codice appalti o da altre disposizioni normative;

b) clausole che non riproducono obblighi previsti dal codice appalti o da altre fonti normative ma funzionali ad evitare incertezze sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, ad assicurane la completezza contenutistica, ovvero ad assicurarne la segretezza

Occorre dunque verificare se l’obbligo di inserire la copia della carta d’identità del firmatario nella busta contenente l’offerta tecnica sia ascrivibile ad una delle due categorie sopra illustrate.

Ritiene il Collegio che la risposta da dare al quesito sia negativa

Tratto dalla sentenza numero 1397 del 23 maggio 2012 pronunciata dal Tar Lombardia, Milano

basta sia inserita almeno una copia fotostatica del documento di identità

E’ fondamentale che vi sia  un nesso biunivocamente rilevante tra dichiarazione e responsabilità personale del sottoscrittore



la prescrizione della disciplina di gara di allegare la copia a ciascuna dichiarazione sarebbe in contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità, comportando un ingiusto aggravamento del procedimento, nonché con l’art. 46, co. 1-bis del d. lgs. n. 163 del 2006 introdotto dall’art. 4 del decreto legge n. 70 del 2011 che prevede la nullità delle clausole contrastanti con la tassatività delle ragioni di esclusione


l’art. 38, co. 3, del d.P.R. n. 445 del 2000 prescrive che la copia fotostatica del documento sia presentata insieme al pertinente atto da autenticare, senza richiedere una coesione fisica, essendo l’allegazione nel plico già sufficiente a garantire la provenienza e l’autenticità della sottoscrizione della dichiarazione


è da escludere che più dichiarazioni rese dalla stessa persona e facenti parte di un medesimo insieme probatorio, in quanto inserite in un’unica busta contenente la “documentazione amministrativa” per la gara, debbano necessariamente essere accompagnate, ciascuna, da una copia del documento

Pertanto, anche nel caso in cui venga inserita nel plico almeno una copia fotostatica del documento di identità, questo elemento è sufficiente a conseguire lo scopo della norma di semplificazione, consentendo la identificazione del rappresentante che ha reso le dichiarazioni sostitutive ed instaurando un nesso biunivocamente rilevante tra dichiarazione e responsabilità personale del sottoscrittore (cfr. Cons. St., sez. V, 20/10/2008, n. 5109).

La clausola della procedura in esame, nella parte in cui richiede che, per ciascuna dichiarazione, l’allegazione della fotocopia del documento di riconoscimento, va interpretata in senso compatibile e coerente con il descritto quadro normativo, tale da non comportare una moltiplicazione ingiustificata di tale formalità, per cui l’allegazione della fotocopia può essere ravvisata anche con un’unica copia fotostatica di tale documento inserita nel plico ed a prescindere dalla fascicolazione.

Peraltro una soluzione diversa sarebbe in contrasto non solo con il principio del “favor partecipationis”, ma anche con il principio secondo cui, nel caso di dubbio, occorre evitare scelte ermeneutiche che determinerebbero l’invalidità dell’atto.


il diritto di accesso viene riconosciuto a soggetto già titolare di situazione tutelata

L’art. 22 della legge 7 agosto 1990 n. 241, nel testo introdotto dalla l. n. 15/2005, afferma che per diritto di accesso si intende “il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi” (co. 1, lett. a)

, intendendosi per “interessati”, “tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l’accesso” (co. 1, lett. b).

Il successivo co. 2 (nel testo introdotto dalla l. n. 69/2009), afferma che “l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurare l’imparzialità e la trasparenza”.

Come è noto, l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato (dec. 18 aprile 2006 n. 6), ha qualificato il “diritto di accesso” come una situazione soggettiva che, più che fornire utilità finali (caratteristica da riconoscere, oramai, non solo ai diritti soggettivi ma anche agli interessi legittimi), risulta caratterizzata per il fatto di offrire al titolare dell'interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante (diritti o interessi)”.

Tratto dalla decisione numero 2974 del 22 maggio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

il ricorso a membri esterni deve essere preceduto da analisi di mancanza di idonee professionalità

la disposizione di cui all’art  84, comma 8, del codice dei contratti pubblici è espressione di principi generali, di matrice costituzionale e comunitaria, di buon andamento, imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa.

In particolare, il principio costituzionale del buon andamento impone che la selezione dei soggetti destinati a comporre la commissione di gara avvenga tra i soggetti già incardinati nella struttura organizzativa della stazione appaltante, all’evidente scopo di contenere i costi di svolgimento della procedura di affidamento. Solo in caso di accertata carenza di adeguate professionalità lo stesso principio rende legittimo il ricorso a commissari di provenienza esterna all’amministrazione aggiudicatrice.

Tuttavia, i sopra ricordati principi di imparzialità e trasparenza impongono che nel caso in cui la scelta sia orientata verso professionisti privati questa non sia diretta, ma venga previamente circoscritta dagli ordini professionali di appartenenza attraverso la formazione di elenchi di candidati dalle quali attingere.

Tratto dalla decisione numero 2963 del 22 maggio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

anche al di fuori del codice dei contratti, le regole di gara sono vincolanti per tutti, pa compresa

In caso di non applicazione del codice dei contratti, vigono comunque i soli principi generali in materia di pubbliche selezioni

a)quello in base al quale, tutte le disposizioni che regolano lo svolgimento e la conclusione di una pubblica selezione concorrono a formarne la disciplina e ne costituiscono, nel loro insieme, la "lex specialis", per cui in caso di loro oscurità ed equivocità, un corretto rapporto tra amministrazione e concorrente, che sia rispettoso dei principi generali del buon andamento dell'azione amministrativa e di imparzialità, impone che di quella disciplina sia data una lettura idonea a tutelare l'affidamento degli interessati in buona fede, interpretandola per ciò che essa espressamente dice, restando il concorrente dispensato dal ricostruire, attraverso indagini ermeneutiche ed integrative, ulteriori ed inespressi significati

In particolare, è stato affermato che in caso di clausole equivoche o di dubbio significato deve preferirsi l'interpretazione che favorisca la massima partecipazione alla gara (piuttosto che quella che la ostacoli), e quella che sia meno favorevole alle formalità inutili.

Attenzione


Non è chiaro dal tenore degli atti di causa se i finanziamenti oggetto del contendere siano stati erogati o meno non potendosi, di conseguenza, escludere eventuali profili di danno erariale il cui accertamento richiede la trasmissione degli atti al competente Giudice contabile

Passaggio tratto dalla sentenza numero 405 del 16 aprile 2012 pronunciata dal Tar Lazio, Roma

lunedì 28 maggio 2012

La polizza provvisoria a copertura della responsabilità precontrattuale dei partecipanti

L’incameramento della cauzione provvisoria è da ricondurre  all’istituto della caparra confirmatoria e quindi alla garanzia della serietà e affidabilità dell’offerta (così, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 11 maggio 2009, n. 2885)

Vi è quindi una  la correlazione tra questo istituto e la violazione dell’obbligo di diligenza e dell’esatta e veritiera produzione documentale nelle trattative precontrattuali, che grava su ciascun concorrente sin dalla fase di partecipazione e di presentazione delle offerte.

L’argomentazione del T.A.R., che ha anche evidenziato l’ambito ristretto coperto dall’indagine in ordine all’elemento psicologico del concorrente, appare del tutto convincente e, sicuramente, non attaccabile sulla base di una mera assunzione dell’appellante, non supportata da alcun elemento argomentativi


In merito al primo profilo, sull’esistenza del presupposto per l’incameramento, va rilevato che il detto provvedimento trova la sua diretta fonte nell’art. 7 delle “Norme generali” del capitolato speciale, secondo cui “la cauzione provvisoria verrà incamerata qualora … l’aggiudicatario non fornisca la documentazione necessaria a comprovare la sussistenza dei requisiti dichiarati ovvero qualora la documentazione prodotta o comunque acquisita dall’amministrazione dimostri che l’aggiudicatario ha reso dichiarazioni non veritiere”.

La Sezione osserva come correttamente il giudice di prime cure abbia posto in rilievo la peculiarità del bando di gara, in base al quale la verifica dell’idoneità di siffatta documentazione a comprovare il possesso dei requisiti richiesti sarebbe avvenuto unicamente ex post. La detta struttura disciplinare poneva quindi a carico del competitore dichiarante un onere di particolare diligenza in merito all’affermazione dell’esistenza dei requisiti tecnici, in guisa che, dal punto di vista procedurale, era evidente la piena assimilabilità dei requisiti dichiarati con quelli solo provvisoriamente documentati.

Pertanto, non appare conferente il distinguo fatto dall’appellante, che mira a individuare l’elemento di discrimine tra fatti legittimanti l’incameramento della cauzione e quelli invece irrilevanti, in relazione alla circostanza che la prova sia avvenuta sulla base di una mera dichiarazione o se sia invece stata suffragata da una produzione documentale. La struttura particolare del bando, dovuta alla peculiarità delle esigenze da soddisfare, assimila dal punto di vista procedimentale le due diverse fattispecie, imponendo la necessaria equiparazione anche dal punto di vista degli esiti giuridicamente rilevanti.

A cura di Sonia Lazzini

Tratto dalla decisione numero 2848 del 17 maggio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

cauzione provvisoria: funzione indennitaria dei danni cagionati dall’eventuale rifiuto di stipulare il contratto e sanzionatoria degli inadempimenti procedimentali

la cauzione provvisoria ha la duplice finalità di garantire la stazione appaltante della mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario e di assicurare l’affidabilità e la serietà dell’offerta presentata.


In particolare il Collegio reputa fondato ed assorbente il primo motivo di ricorso, disatteso dal T.A.R. e riproposto in questa sede, con cui si afferma la violazione della lex specialis (punto III 1.1 del bando; punto 8.11 della lettera d’invito e art. 11 Capitolato Speciale d’Appalto - Parte normativa, in relazione all’art. 75, comma 5, d.lgs. n.163/2006) con riferimento al termine di validità della cauzione provvisoria: esso contesta che la validità della cauzione provvisoria presentata dall’ATI aggiudicataria TM.E. sarebbe inferiore ai 250 giorni richiesti nel bando di gara e nella lettera d’invito, dal che deriverebbe una diversa consistenza rispetto alla cauzione proposta dall’ATI ricorrente e, dunque, una violazione della par condicio.

Com’è noto, la cauzione provvisoria ha la duplice finalità di garantire la stazione appaltante della mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario e di assicurare l’affidabilità e la serietà dell’offerta presentata. Ha, pertanto, funzione indennitaria dei danni cagionati dall’eventuale rifiuto di stipulare il contratto e sanzionatoria degli inadempimenti procedimentali relativi alla veridicità delle dichiarazioni fornite in ordine al possesso dei requisiti di capacità economico finanziaria e tecnico organizzativa richiesti dal bando (cfr. Cons. St., Sez. V, 30 giugno 2003, n. 3866; Sez. IV, 20 luglio 2007, n. 4098)._La sua natura provvisoria (alla stipula del contratto viene sostituita da quella definitiva) e la sua specifica funzione comportano che la sua durata non può prescindere dalla durata di validità dell’offerta, risultandone diversamente pregiudicata la stessa ratio legis della cauzione provvisoria.


   Merita di essere segnalata la decisione numero 2885 del 24 maggio 2009 emessa dal Consiglio di Stato ed in particolare il seguente passaggio

domenica 27 maggio 2012

il risarcimento per equivalente è in subordine a quello in forma specifica

Pertanto è la rinnovazione delle operazioni di gara a rappresentare per l’odierna ricorrente (allora appellante vittoriosa) il risarcimento in forma specifica.

Il risarcimento del danno per equivalente ha, infatti, una funzione residuale e sussidiaria, potendo essere disposto solo quando sia ormai inutile disporre la rinnovazione degli atti di gara (ad esempio perché non sarebbe più possibile l'affidamento del servizio) oppure allorquando a seguito della rinnovazione della gara i ricorrenti dovessero risultare aggiudicatari dell'appalto.

Nella fattispecie, invero, non si verifica nessuna delle due ipotesi descritte, per un verso, perché l’Amministrazione ha disposto la rinnovazione degli atti di gara, assegnando alle imprese invitate alla procedura un nuovo termine per la presentazione delle offerte tecniche ed economiche: restituendo così al ricorrente la possibilità di partecipare ad una nuova procedura selettiva emendata dai vizi procedurali denunziati (e ritenuti fondati dal giudice d’appello), per altro verso, perché all’esito di tale nuova procedura la ricorrente non è comunque risultata aggiudicataria del servizio.

Quanto alla richiesta di risarcimento delle spese sostenute per la partecipazione alla gara, secondo la pacifica e condivisa giurisprudenza amministrativa tali costi <<non sono risarcibili in favore dell'impresa che lamenti la mancata aggiudicazione dell'appalto (o anche solo la perdita della chance di aggiudicarselo). La partecipazione alle gare di appalto comporta per le imprese dei costi che, ordinariamente, restano a carico delle imprese medesime, sia in caso di aggiudicazione, sia in caso di mancata aggiudicazione. Detti costi di partecipazione si colorano come danno emergente solo qualora l'impresa subisca una illegittima esclusione, perché in tal caso viene in considerazione la pretesa del contraente a non essere coinvolto in trattative inutili. Essi, peraltro, vanno, in via prioritaria e preferenziale, ristorati in forma specifica mediante rinnovo delle operazioni di gara e solo ove tale rinnovo non sia possibile, vanno ristorati per equivalente>> (Consiglio Stato , sez. VI, 18 marzo 2011 , n. 1681).

Alla luce di tutte le considerazioni svolte va pertanto respinta la domanda di risarcimento del danno patrimoniale.

Tratto dalla sentenza numero 209 del 16 maggio 2012 pronunciata dal Tar Basilicata, Potenza

l'inerzia processuale ha comporato l'aggravamento del danno

non deve essere risarcito il danno che il creditore non avrebbe subito se avesse serbato il comportamento collaborativo cui è tenuto, secondo correttezza.

 Si vuole, a questa stregua, circoscrivere il danno derivante dall'inadempimento entro i limiti che rappresentano una diretta conseguenza dell'altrui colpa

Quanto al profilo eziologico i danni lamentati (laddove davvero esistenti) sarebbero stati in toto evitati se la società si fosse tempestivamente avvalsa degli strumenti di tutela predisposti all’uopo dall’ordinamento.
Alla stregua delle considerazioni che precedono la domanda risarcitoria non può essere accolta.


Il mancato esercizio di un agile strumento processuale (quale l’azione dichiarativa dell’obbligo di provvedere) può essere ritenuto un comportamento contrario a buona fede nell’ipotesi in cui si appuri che una tempestiva reazione avrebbe evitato o mitigato il danno


risulta così superato il tradizionale indirizzo restrittivo secondo il quale il canone della «diligenza» di cui all'art. 1227, comma 2, imporrebbe il mero obbligo (negativo) del creditore di astenersi da comportamenti volti ad aggravare il danno, mentre esulerebbe dallo spettro degli sforzi esigibili la tenuta di condotte di tipo positivo sostanziantesi in un facere.

La giurisprudenza più recente, muovendo dal presupposto che la disposizione in parola non è formula meramente ricognitiva dei principi che governano la causalità giuridica consacrati dall’art. 1223 c.c. ma costituisce autonoma espressione di una regola precettiva che fonda doveri comportamentali del creditore imperniati sul canone dell’ auto-responsabilità, ha, infatti, adottato un’interpretazione estensiva ed evolutiva del comma 2 dell'art. 1227, secondo cui il creditore è gravato non soltanto da un obbligo negativo (astenersi dall'aggravare il danno), ma anche da un obbligo positivo (tenere quelle condotte, anche positive, esigibili, utili e possibili, rivolte a evitare o ridurre il danno).”




Nella specie assume un ruolo decisivo la considerazione che la tecnica di tutela non praticata, quella di accertamento dell’obbligo di provvedere, se si eccettua il profilo del termine decadenziale, non implica costi ed impegno superiori a quelli richiesti per la tecnica di tutela risarcitoria, ed anzi si presenta più semplice e meno aleatoria nella misura in cui richiede il solo riscontro della presenza dell’obbligo di concludere il procedimento amministrativo con un provvedimento espresso, senza richiedere la dimostrazione degli altri elementi invece necessari a fini risarcitori, quali l’elemento soggettivo, il duplice nesso eziologico nonché l’esistenza e la consistenza del danno risarcibile in base ai parametri di cui agli artt.1223 e seguenti del codice civile.

La scelta di non avvalersi della forma di tutela specifica e non (comparativamente) complessa avrebbe sicuramente evitato, in tutto o in parte il danno ed integra violazione dell’obbligo di cooperazione, che spezza il nesso causale e, per l’effetto, impedisce il risarcimento del danno evitabile.

Deve allora darsi risposta alla duplice domanda se la condotta della società ricorrente abbia integrato violazione del canone comportamentale cristallizzato dall’art. 1227, comma 2, c.c. (oggi recepito dall’art. 30, comma 3, del codice del processo amministrativo) ed abbia spiegato un effetto eziologico nella produzione di un danno altrimenti evitabile.

Il Collegio ritiene che vada data risposta positiva ad entrambe le questioni perché l’impresa ha reagito con atto di citazione innanzi al Giudice civile solo il 28 maggio 2007, ossia dopo oltre 6 anni dalla data di deposito della richiesta di concessione.

La totale inerzia osservata nella coltivazione di rimedi giudiziali e di iniziative stragiudiziali (non risulta che siano stati neppure attivati i poteri sostitutivi regionali), integra, alla luce della gravità degli effetti lesivi denunciati, una chiara violazione degli obblighi cooperativi che gravano sul creditore danneggiato.

Quanto al profilo eziologico i danni lamentati (laddove davvero esistenti) sarebbero stati in toto evitati se la società si fosse tempestivamente avvalsa degli strumenti di tutela predisposti all’uopo dall’ordinamento.

vi è responsabilità precontrattuale nell'aver indetto una gara senza l'effettiva copertura finanziaria

l’impossibilità di procedere alla stipula del contratto a causa dell’insussistenza della copertura finanziaria rende doverosa e quindi legittima la revoca degli atti di gara pubblica


la verifica della finanziabilità dell’intervento doveva essere compiuta in un momento anteriore rispetto all’indizione della gara.

ad eccezione delle sole spese relative al contributo all’Autorità di Vigilanza e agli altri bolli per un totale di € 48,00, nessun ulteriore danno può essere liquidato a titolo di spese inutilmente sostenute per la partecipazione alla gara e per la perdita di ulteriori occasioni contrattuali, mancando la prova del danno subito

Va, a tal proposito, richiamato il condiviso orientamento giurisprudenziale secondo il quale deve ritenersi sussistente la colpa dell'amministrazione, che addiviene alla conclusione di una procedura di affidamento lavori senza mai stipulare il relativo contratto a causa dell'omessa verifica e vigilanza sulla sussistenza della relati-va copertura finanziaria, in quanto tale comportamento, ingenerando nelle parti un falso affi-damento in ordine alla positiva conclusione della vicenda, deve considerarsi divergente rispetto alle regole di correttezza e buona fede cui è tenuta anche la p.a. nella fase precontrattuale (in tal senso Cons. Stato, Ad. Plen., 5 settembre 2005, n. 6; sez. V, 7 settembre 2009, n 5245; sez. VI, 10 set-tembre 2008, n. 4309; T.A.R. Sicilia - Catania, IV, 16 dicembre 2010, n. 4730).

Va, dunque, configurata una responsabilità precontrattuale dell’amministrazione e conseguentemente deve essere liquidato il relativo danno nei limiti del cd. interesse negativo, riferibile alle occasioni contrattuali perse per aver confidato nell’impegno assunto, fermo restando che la responsabilità precontrattuale costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, con la conseguenza che la rigorosa prova dell’esistenza e dell’ammontare del danno è a carico del danneggiato.



In particolare, parte ricorrente:

a) ha chiesto la refusione del contributo versato all’ Autorità di Vigilanza dei LL.PP. (€ 20,00), e delle altre imposte e bolli a corredo della domanda di partecipazione (€ 28,00), oltre al rimborso delle spese sostenute per la redazione dell’offerta per un importo di € 500,00 (non documentate);

b) ha chiesto i danni conseguenti agli acquisti fatti per l’esecuzione dell’appalto per un totale di 57.085,08;

c) ha chiesto il risarcimento delle perdite sofferte per non aver fruito di ulteriori occasioni contrattuali.

A fronte di tali richieste il Collegio osserva che:

- quanto alla richiesta sub a), l’impresa ricorrente non ha in alcun modo documentato le spese asseritamente sostenute per l’esame del progetto di gara e per la redazione dell’offerta, senza tenere conto che in ragione dell’oggetto e dell’importo dei lavori (€ 163.690) e del criterio di aggiudicazione (prezzo più basso), la redazione dell’offerta non appare particolarmente complessa;

- quanto alla richiesta sub b) si è limitata ad allegare una serie di fatture per forniture che dichiara essere “strettamente inerenti all’appalto”, ma che, di fatto, sono prive di alcun nesso con le lavorazioni previste dal bando (demolizioni e movimento di materie, murature, pavimentazioni stradali, segnaletica a e opere di protezioni e vaie), trattandosi per la maggior parte di mac-chinari, utensili e dispositivi antinfortunistica che sebbene utilizzabili (anche) nei lavori oggetto nell’appalto in questione, essi costituiscono forniture riconducibili alla normale attività di impresa (e non ad esempio materiali per l’esecuzione dei lavori), mentre altre forniture appaiono assolutamente non pertinenti alla messa in sicurezza in strada provinciale (cfr. fattura n. 4 e 5: porte e ringhiere in ferro o lavori di riparazione presso istituto “Torricelli” e fattura n. 9 relativa a forniture informati-che).

Va anche precisato che il bando di gara richiedeva, ai fini della partecipazione, il possesso della categoria OG1, classifica I, per cui l’impresa doveva necessariamente possedere i requisiti di natura tecnico-organizzativa (e quindi anche strumenti e macchinari necessari alla realizzazione dei lavori richiesti dal bando), in epoca anteriore all’affidamento dei lavori;

- quanto alla richiesta sub c) parte ricorrente si è limitata ad affermare che le perdite sofferte per non aver usufruito di ulteriori occasioni contrattuali resterebbero dimostrate dalla produzione del registro acquisti ( pag. 8 del ricorso introduttivo): ora - a parte la circostanza che la scelta di non concludere un diverso contratto può comunque non essere completamente riconducibile alla partecipazione alla procedura poi venuta meno ma derivare, in concreto, da fattori diversi, e che, in ogni caso, essa è almeno in parte dipen-dente anche dalle più o meno ampie capacità dell’impresa - nel caso specifico, non risulta assolutamente provato che nel periodo 2009-2010 si siano presentate all'impresa ricorrente concrete favorevoli occasioni, cui abbia dovuto rinunciare per rimanere a disposizione della Provincia Regionale di Messina, in attesa della stipula del contratto.

6. In conclusione, ad eccezione delle sole spese relative al contributo all’Autorità di Vigilanza e agli altri bolli per un totale di € 48,00, nessun ulteriore danno può essere liquidato a titolo di spese inutilmente sostenute per la partecipazione alla gara e per la perdita di ulteriori occasioni contrattuali, mancando la prova del danno subito. Quindi, soltanto nei limiti sopra precisati, il ricorso è fondato e va accolto, con conseguente condanna dell’amministrazione resistente al pagamento della somma di € 48,00 a titolo di spese inutilmente sostenute per la partecipazione alla gara. Sugli importi dovuti per le predette causali dovrà poi essere calcolata la rivalutazione monetaria (trattandosi di debito di valore, riconducibile a responsabilità extracontrattuale) e gli interessi legali, a decorrere dalla domanda giudiziale.

risulta evidente il comportamento colposo della stazione appaltante

Appare infatti evidente la responsabilità dell’amministrazione che ha illegittimamente impedito che la ricorrente ottenesse l’utilità oggetto della gara.

L’intervento effettuato dopo la conoscenza delle offerte economiche per motivazioni che potevano essere spese fin dalla ricezione dei plichi rende particolarmente evidente il carattere quantomeno colposo del comportamento dell’amministrazione.

Rispetto al quantum la ricorrente ha adeguatamente illustrato le componenti di danno e i criteri di quantificazione. Trattandosi tuttavia di verificare le medesime anche alla luce delle condizioni di servizio e del connesso rischio di impresa, invece che nominare allo scopo un consulente tecnico che quantifichi il mancato utile, per ragioni di economia processuale si ritiene di fissare i criteri sulla cui base il Comune offrirà la somma dovuta ex art. 34, comma 4, d.lg. 104/2010.

A tal fine l’amministrazione quantificherà i presumibili ricavi che l’impresa avrebbe conseguito dallo svolgimento dei servizi, tenendo conto sia di un ragionevole indice di utilizzazione delle suddette aree a pagamento (stimando quindi il possibile incasso annuo, a cui dovranno essere detratte le spese necessarie allo svolgimento del servizio) sia degli ulteriori introiti per la redazione dei verbali da parte degli ausiliari, tenendo in ciò conto dei probabili introiti in rapporto alle violazioni accertate in ambito comunale.

Va assegnato il termine di 60 giorni dalla notificazione della presente sentenza per offrire alla ricorrente la somma così determinata.


Tratto dalla sentenza numero 337 del 14 maggio 2012 pronunciata dal Tar Abruzzo, l’Aquila

sabato 26 maggio 2012

il danno non patrimoniale, quale danno conseguenza, deve essere provato

Deve essere respinta, peraltro, per difetto di prova, anche la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale,

 il quale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, non costituisce un danno in re ipsa, ma un danno-conseguenza, che deve essere quindi allegato e provato (ex multis: Cassazione civile , sez. un., 11 novembre 2008 , n. 26972).

Nella specie, parte ricorrente prospetta un danno esistenziale e un danno all’immagine, senza però fornire precise indicazioni e allegazioni atte a comprovare e definire con sufficiente specificazione le ragioni e le circostanze concrete che avrebbero determinato tali pregiudizi.

Né a tale carenza probatoria può supplire il giudice attraverso la liquidazione in via equitativa, che può essere disposta solo allorquando il danno sia stato provato, ma ne risulti difficile la quantificazione nel suo preciso ammontare.


Tratto dalla sentenza numero 209 del 16 maggio 2012 pronunciata dal Tar Basilicata, Potenza

il ricorrente non ha provato che la propria immagine sia stata compromessa

La ricorrente lamenta, infine, genericamente, di aver subito una lesione della propria “immagine commerciale” che le avrebbe creato un danno esistenziale e un danno morale.

Orbene, a prescindere dal verificare se tali specifiche voci di pregiudizio, rientranti nella generale categoria del danno non patrimoniale (Cass. Civ. SS.UU. 11/11/2008, n. 26972 e III Sez. 1/12/2010 n. 24401) siano state, nella fattispecie, correttamente evocate, ciò che conta e che le stesse, per pacifica giurisprudenza, possono essere risarcite solo laddove il danneggiato, fornisca concreti elementi atti a dimostrarne la sussistenza, mentre nel caso concreto tale prova è del tutto mancata; così come l’istante non ha provato e nemmeno allegato, in che modo la propria immagine commerciale sia rimasta pregiudicata dall’illecita condotta tenuta dal Comune.

A quanto sopra occorre aggiungere che, alla luce delle considerazioni in diritto poc’anzi illustrate, la riscontrata inosservanza dell’onere probatorio non può essere sanata disponendo la richiesta consulenza tecnica o procedendo a liquidare il danno in via equitativa.





Tratto dalla sentenza numero 489 del 18 maggio 2012 pronunciata dal Tar Sardegna Cagliari

bisogna dare prova dell'esistenza del pregiudizio economico di cui si chiede il risarcimento

in applicazione del principio espresso dall’art. 2697 cod. civ., colui che agisce in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni provocati dall’illegittimo esercizio del potere amministrativo deve dimostrare i fatti costitutivi della domanda, fornendo, in particolare, la rigorosa prova dell'esistenza dei danni subiti


 
Per costante giurisprudenza, inoltre, il deficit probatorio relativo alla sussistenza del danno non può essere supplito dalla richiesta di disporre consulenza tecnica (la quale costituisce non già un mezzo di ricerca della prova bensì di valutazione di elementi tecnici già acquisiti) o di procedere alla liquidazione in via equitativa, la quale postula che, quantomeno, sia data prova dell'esistenza del pregiudizio

Nel caso di specie, la ricorrente non ha fornito la prova dei danni richiesti.

Occorre innanzitutto osservare che dalla documentazione che la medesima ha depositato in giudizio, non risulta affatto un “consistente calo di ricavi” nel periodo di illegittima apertura dell’esercizio commerciale gestito dalla Controinteressata Tre (16/12/2002 – 20/9/2004).

Anzi, dall’esame del conto economico relativo a ciascuna delle annualità da considerare, emerge un incremento degli utili.


Tutto ciò, inoltre, fa supporre, in assenza di controprove, che nel detto periodo non si sia verificato il denunciato calo di avviamento e di clientela.

A sostegno, poi, del reclamato danno da diminuzione del proprio trend di crescita, l’istante deposita in giudizio una consulenza tecnica di parte, ma quest’ultima si risolve in una serie di tabelle numeriche, rimaste, però, prive di qualunque riscontro documentale. Da qui la sua assoluta inidoneità ai fini probatori per i quali è stata prodotta.

Tratto dalla sentenza numero 489 del 18 maggio 2012 pronunciata dal Tar Sardegna Cagliari

annullamento di aggiudicazione, subentro contrattuale e risarcimento per equivalente

Dall’annullamento degli atti impugnati in primo grado consegue l’aggiudicazione della gara di cui trattasi da parte dell’attuale appellante.

Ove nel frattempo fosse stato stipulato un contratto per la medesima prestazione resa oggetto della gara per cui è causa, l’attuale appellante dovrà sostituirsi all’intestataria del contratto stesso per il tempo residuo della prestazione predetta, fermo – altresì – restando il suo diritto al risarcimento del danno costituito dal 10% della propria offerta in rapporto al lasso di tempo in cui il servizio non è stato da essa espletato

Tratto dalla decisione numero 2921 del 18 maggio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato

la class action è inammissibile

Com’è noto, infatti, la "class action" di cui agli artt.1 e 3 dlgs 198/09 costituisce un rimedio esperibile contro la p.a. per violazione di termini o per mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 20 gennaio 2011 , n. 552).

Sennonché le ricorrenti non hanno specificato quale sarebbe il termine perentorio entro il quale l’Amministrazione avrebbe dovuto provvedere secondo quanto indicato da una specifica norma di legge o regolamentare, essendosi limitati a notificare un atto di diffida rispetto al quale l’Amministrazione stessa sarebbe rimasta inerte..

Né, allo stesso tempo, è stato chiarito quali atti amministrativi di carattere generale l’amministrazione avrebbe obbligatoriamente dovuto adottare, considerando, appunto, che l’obbligatorietà è un requisito essenziale perché possano integrarsi i requisiti previsti per l’esperibilità di una “class action”.

Tratto dalla sentenza numero 4520 del 19 maggio 2012 pronunciata dal Tar Lazio, Roma

venerdì 25 maggio 2012

la tassatività delle cause di esclusione va applicata anche ai settori speciali

            Rapporti fra tassatività delle cause di esclusione e richiesta dei requisiti di gara


Per quanto attiene poi all’impossibilità di esclusione dalla gara per cause non espressamente previste da norme di legge o di regolamento, occorre rilevare che la disposizione dell’art. 46, comma 1 bis del Codice, applicabile anche ai settori speciali in virtù del richiamo contenuto nell’art. 206, deve intendersi nel senso che non è permesso alla stazione appaltante di creare nuove ed autonome cause di esclusione laddove i requisiti siano stabiliti dalla legge.

La norma, infatti, si pone come scopo quello di evitare che il potere dell’amministrazione di richiedere requisiti di partecipazione si sovrapponga a quello previsto dalla legge, creando ulteriori barriere all’entrata sul mercato degli operatori e aumentando gli oneri burocratici ed i problemi interpretativi creati dalla disciplina stabilita dalla stazione appaltante.

Questa lettura, che si ispira al principio di stretta legalità che regola le limitazioni alla concorrenza, comporta, a contrariis, che nessuna preclusione può essere imposta all’amministrazione nel creare cause di esclusione dalle gare, quando spetti all’amministrazione e non alla legge di determinare i requisiti di gara.


Tratto dalla sentenza numero 1356 del 15 maggio 2012 pronunciata dal Tar Lombardia, Milano

è illegittima qualsiasi esclusione non compresa nell'elenco tassativo di cui all'art 46, 1c bi

Servizio di brokeraggio assicurativo: per la tassatività delle cause di esclusione, in  ipotesi di mancata sottoscrizione di un chiarimento il concorrente non può essere escluso

la circostanza nella specie rilevata dall’amministrazione, non costituisce, sulla base della legislazione vigente, causa di esclusione dalla gara.

L’art. 46, comma 1 bis, del codice dei contratti, inserito dall'articolo 4, comma 2, lettera d), del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, ha, infatti, previsto la tassatività delle cause di esclusione, disponendo che la stazione appaltante può escludere i candidati o i concorrenti solo in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal codice, dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell'offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte. Consegue che i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione.

L’esclusione dalla gara per ragioni diverse da quelle previste dal comma 1 bis del sopra citato art. 46 comporta, quindi, la illegittimità del provvedimento impugnato.

Giova aggiungere, condividendo l’assunto della ricorrente, che non è dato rilevare dal bando di gara alcuna ipotesi di esclusione per mancata sottoscrizione di un chiarimento; mentre il disciplinare di gara elenca dettagliatamente i documenti che dovevano essere contenuti nella busta “amministrativa”, senza alcun riferimento a possibili successive integrazioni, tanto meno se indicate a portale come semplici “chiarimenti di gara”. Tuttavia, quand’anche fosse stata ivi prevista una tale causa di esclusione diversa da quelle contemplate dal ripetuto comma 1 bis dell’art. 46 ne avrebbe, comunque, comportato la nullità, in quanto contrastante con la norma richiamata, rilevabile d’ufficio e senza necessità di specifica impugnazione.

Può aggiungersi che il chiarimento non sottoscritto dal legale rappresentante della Società ricorrente è stato pubblicato in data 18 ottobre, quando, per ipotesi, l’invio della documentazione da parte di alcuno dei concorrenti poteva essere già stata effettuata, posto che il bando risulta pubblicato in data 27 settembre 2011.

Per quanto precede, il ricorso deve essere accolto e, conseguentemente, annullato il provvedimento di esclusione dalla gara.