mercoledì 29 maggio 2013

corretto quantificare il danno patito nell’1% del valore dell’appalto

È appena il caso di rilevare , infatti, come dal tenore dei ricorsi introduttivi e dai successivi atti di motivi aggiunti, emerga chiaramente la sostanziale richiesta di risarcimento per le voci correttamente individuate dal primo giudice.
Infatti , lamentare da un lato l’erroneità del criterio di aggiudicazione prescelto (che ha inficiato la legittimità degli atti di gara e la proficua partecipazione della Cooperativa alla stessa) e, dall’altro, la mancata ripetizione della gara (che si rendeva necessaria a seguito dell’annullamento dei predetti atti) , null’altro significa sul piano risarcitorio che lamentare i danni derivanti da dette situazioni, correttamente qualificabili in termini di danno da inutile partecipazione alla gara e da perdita di chance.
A ciò aggiungasi che , trattandosi di accertamento del diritto al risarcimento dei danni patiti , non era in ogni caso preclusa al primo giudice una valutazione piena ed autonoma delle richieste avanzate dall’interessato , in base al generale contesto del ricorso
Il Tar , infatti , ha individuato nell’1% del valore dell’appalto il quantum del danno da risarcire in via equitativa , effettuando quindi una valutazione oggettivamente del tutto ragionevole e proporzionata ,che non abbisogna all’evidenza di specifiche giustificazioni .
Detta quantificazione , inoltre , si appalesa congrua anche rispetto ai criteri individuati dalla giurisprudenza sulla base delle indicazioni fornite dall’art. 134 del d.lgs. 163/2006, ossia rispetto al valore dell’appalto e al correlato utile di impresa, nonché al numero dei partecipanti alla gara annullata (ossia nove concorrenti, che presuntivamente avrebbero partecipato alla nuova procedura concorsuale, se fosse stata indetta)

a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla  decisione   numero 2399 del 2 maggio  2013  pronunciata dal Consiglio di Stato

in assenza della meritevolezza della tutela, non può configurarsi un danno risarcibile

non si può attribuire autonomo rilievo risarcitorio alla violazione di un obbligo di comportamento meramente strumentale (quale quello che presiede ad una corretta istruttoria ed ad una compiuta motivazione), indipendentemente dalla soddisfazione dell' interesse finale, allorché, come nella specie, il conseguimento del bene della vita non è certo

In particolare, nel caso in esame, la pretesa risarcitoria si fonda su un pregiudizio collegato all’errata valutazione di elementi istruttori necessari alla realizzazione del bene finale e in siffatta ipotesi, avuto riguardo all' interesse pretensivo, non è possibile effettuare una previsione di esito favorevole di conseguimento dell'utilità in questione e quindi, in assenza della meritevolezza della tutela, non può configurarsi un danno risarcibile (Cons Stato, VI, 15 aprile 2003, n.1945; IV, 19 gennaio 2008, n. 248).

Occorre qui richiamare il valore del principio dispositivo del processo amministrativo, cui pure il giudizio risarcitorio deve conformarsi (Cons. Stato, IV, n.248 del 2008), secondo cui l'accoglimento della domanda presuppone la valutazione, sulla base di un giudizio prognostico, circa la spettanza dell'utilità finale sottesa alla domanda.
Tuttavia nella specie questa valutazione non può espletarsi a causa dell’assoluta mancanza di elementi istruttori (alternativi a quelli posti a base dell’originario diniego) da cui desumere che il Consorzio aveva titolo a ottenere l’autorizzazione alla libera circolazione dell’energia tra i soggetti consorziati, ricorrendo le condizioni di legge.

a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla  decisione   numero 2335 del 29 aprile    2013  pronunciata dal Consiglio di Stato

il favor partecipationis deve essere contemperato esigenza prevedere apprezzabili requisiti capacità tecnica

e' legittimo richiedere ai concorrenti la dimostrazione del requisito di capacità tecnica, conseguito non già genericamente nel triennio precedente, bensì in ciascuno degli ultimi tre anni

Il bando di gara, all’art. 6, lett. D), rubricato “capacità tecnica e professionale”, prescriveva che: “La dimostrazione della capacità tecnica dei concorrenti dovrà essere fornita mediante dichiarazione, in autocertificazione ai sensi del D.P.R. 445/2000, concernente l’elenca-zione dei principali servizi svolti in ciascun degli ultimi tre anni 2007, 2008, 2009. Tale dichiarazione dovrà essere corroborata dalla documentazione attestante la regolarità dei lavori, ovvero tramite due lettere per ciascun esercizio – 2007, 2008, 2009 – di Amministrazioni pubbliche concernente la diligente esecuzione di interventi di ripristino post incidente”.
Come rettamente sostenuto dalla difesa della Provincia appellante, il tenore letterale della summenzionata clausola depone nel senso di richiedere ai concorrenti la dimostrazione del requisito di capacità tecnica, conseguito non già genericamente nel triennio precedente, bensì in ciascuno degli ultimi tre anni, come è dimostrato dalla specifica richiesta di esibire almeno due lettere di regolare esecuzione dei lavori per ciascun esercizio relativo a ciascun anno.

Nella sentenza appellata si è invocato il principio comunitario del favor partecipationis, concretantesi nell’esigenza di garantire anche a una impresa che sia da poco entrata sul mercato di partecipare a una gara, ma tale assunto non può essere condiviso, posto che il principio in questione deve essere contemperato con l’esigenza di prevedere, in relazione alle singole gare, apprezzabili requisiti di capacità tecnica.
Del resto, lo stesso art. 42 del d.lgs. n. 163/2006, tra le modalità alternative mediante le quali ciascuna stazione appaltante può richiedere la dimostrazione del requisito della capacità tecnica, prevede, in via generale, al comma 1, lett. a), “la presentazione dell’elenco dei principali servizi o delle principali forniture prestati negli ultimi tre anni …”.
Ne consegue che deve ritenersi errata l’interpretazione che del bando di gara è stata fornita dal giudice di primo grado.

a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla decisione  numero 415 del 29 aprile 2013   pronunciata dalla Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana

domenica 26 maggio 2013

nell'avvalimento non vi è obbligo di intestazione cauzione provvisoria anche all'ausiliaria

Deve essere innanzitutto ribadito che nessuna disposizione di gara menzionava l’obbligo di includere nell'intestazione della cauzione provvisoria, tra gli obbligati, anche i nominativi delle eventuali imprese ausiliarie.
Non dispone in tal senso nemmeno l’art. 58.27 della l.p. n. 26 del 1993, letto in combinato disposto con l'art. 49 del D.Lgs. n. 163 del 2006, laddove, dopo aver introdotto il regime di responsabilità solidale tra l'impresa avvalente e quella ausiliaria (comma 4), precisa che solo gli obblighi previsti dalla normativa antimafia a carico del concorrente si applichino anche nei confronti del soggetto ausiliario (comma 5), e che il contratto è in ogni caso eseguito dall'impresa che partecipa alla gara, solo alla quale è rilasciato il certificato di esecuzione dei lavori (comma 10).

È dunque lo stesso legislatore ad individuare nell'impresa avvalente l'unico soggetto titolare del contratto di appalto. Da ciò discende che non si può affermare, con un’operazione di interpretazione estensiva, che l'onere cauzionale debba gravare anche su di un soggetto ulteriore, qual è l’impresa ausiliaria, in ordine alla quale rileva invece il rapporto contrattuale con l'avvalente.
In tal senso, salvo qualche isolata ma risalente pronuncia, si è espressa la più recente giurisprudenza di primo grado, chiarendo testualmente come “l'impresa ausiliaria non è tenuta a prestare cauzione provvisoria” (cfr., T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 16.1.2013, n. 27; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 10.4.2012, n. 1046; T.A.R. Veneto, sez. I, 18.11.2011, n. 1656 e 10.1.2011, n. 12; T.A.R. Sardegna, sez. I, 17.3.2010, n. 337; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 3.12.2009, n. 12455).
Da ultimo, anche il Consiglio di Stato, confermando la citata sentenza dal T.A.R. Veneto n. 1656 del 2011, ha osservato che né l’art. 75 né l’art. 49 del Codice dei contratti pubblici prevedono che la cauzione debba includere anche i soggetti ausiliari, ritenendo perciò “illogica” l’affermazione che l'onere cauzionale debba “gravare (anche) su di un soggetto ulteriore e diverso … in ordine al quale rileva solo il rapporto interno con l'avvalente medesimo, ferma restando la responsabilità solidale dell'ausiliario nei confronti dell'Amministrazione appaltante" (cfr., sez. V, 14.2.2013, n. 911).

a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla  sentenza  numero 168 del 22  maggio  2013  pronunciata dal Tar Provincia Autonoma di Trento

ANCHE IN VIGENZA DEL PRINCIPIO DELLA TASSATIVITA' DELLE CAUSE DI ESCLUSIONE, UN'AGENTE CON UNA PROCURA INSUFFICIENTE, NON PUO' SOTTOSCRIVERE LA PROVVISORIA, DI CONSEGUENZA LA PARTECIPANTE DEVE ESSERE ESCLUSA

ANCORA UN CAMBIO DI ROTTA DA PARTE DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO
ANCHE IN VIGENZA DEL PRINCIPIO DELLA TASSATIVITA' DELLE CAUSE DI ESCLUSIONE, UN'AGENTE CON UNA PROCURA INSUFFICIENTE, NON PUO' SOTTOSCRIVERE LA PROVVISORIA, DI CONSEGUENZA LA PARTECIPANTE DEVE ESSERE ESCLUSA

l’assenza dei poteri di firma della polizza fideiussoria da parte del rappresentante dell’istituto assicurativo equivale ad una mancata produzione tout – court della polizza stessa
da tale procura emerge che l’autorizzazione alla firma del procuratore è stata rilasciata per un cumulo espositivo per cliente pari a soli euro 80.000,00: ne deriva che il firmatario della polizza non aveva i poteri per rilasciare sia la cauzione provvisoria che il contestuale impegno al rilascio della cauzione definitiva ex artt. 75 e 113 del D.Lgs. n. 163/2006
a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla  sentenza  numero 168 del 22  maggio  2013  pronunciata dal Tar Calabria, Reggio Calabria

Con un terzo gruppo di censure incidentali, viene contestata la regolarità e l’ammissibilità della polizza fideiussoria, che sarebbe sottoscritta da procuratore dell’Compagnia garante Spa che non risulterebbe essere tale dalla visura CCIAA della stessa. La ricorrente principale allega la specifica procura speciale registrata in Trieste il 4.12.2007 n. 8719. Tuttavia, come correttamente osservato dalla difesa della CONTROINTERESSATA Srl (che introduce così non già un motivo nuovo ma argomentazione maggiormente circostanziata a sostegno del motivo di censura già presentato), da tale procura emerge che l’autorizzazione alla firma del procuratore è stata rilasciata per un cumulo espositivo per cliente pari a soli euro 80.000,00: ne deriva che il firmatario della polizza non aveva i poteri per rilasciare sia la cauzione provvisoria che il contestuale impegno al rilascio della cauzione definitiva ex artt. 75 e 113 del D.Lgs. n. 163/2006 (i corrispondenti importi rispettivamente ammontano ad €. 21.330,00 e ad €. 636.386,40, tenuto conto del ribasso offerto dalla ing. Ricorrente Nicodemo pari al 25,21% sull’importo di €. 2.092.000,00, per un totale di €. 657.716,40).

Ne deriva la fondatezza del motivo incidentale: non può invocarsi, in questo caso, il principio di cui all’art. 46 comma 1 bis del Dlgs 163/2006, perché l’assenza dei poteri di firma della polizza fideiussoria da parte del rappresentante dell’istituto assicurativo equivale ad una mancata produzione tout – court della polizza stessa, con conseguente violazione dell’art. 75 del Dlgs 163/2006, senza che possa trovare ingresso la tematica del rappresentante apparente, che può operare sul piano civile dei rapporti tra le parti in caso di avvenuta esecuzione della prestazione, ma non su quello amministrativo della regolarità sostanziale del documento.

sabato 25 maggio 2013

appalto integrato_anche il progettista indicato puo' usufruire dell'avvalimento

Con il primo motivo di ricorso, si lamenta l’illegittima ammissione dell’avvalimento da parte del progettista solo “indicato” dalla concorrente (determina AVCP nr. 2/2012, Consiglio di Stato, III, 5161/2012 e TAR Piemonte, I, ord. nr. 636/2009).

Così come condivisibilmente eccepito dalla difesa della controinteressata, nel caso di specie il bando (non impugnato) ammette il ricorso all’avvalimento da parte del progettista indicato.

Al punto 8 “requisiti del progettista” (pagg. da 13 a ss. del disciplinare di gara CIG 4273133CE4, in atti), si regolano i requisiti e le documentazioni a dimostrazione relativi ai progettisti e tale disposizione rivolge il proprio ambito di efficacia ad “i liberi professionisti singoli o associati…associati o indicati dal costruttore….”. Nel citato art. 8 i prevede espressamente che “ai sensi dell’art. 49 del Codice dei Contratti è ammesso l’avvalimento” e ciò dunque vale in relazione a tutte le diverse fattispecie che sono regolate nella disposizione di gara, inclusi i progettisti solo indicati dal costruttore.
Non essendo stato impugnato il bando, il motivo di ricorso è inammissibile per carenza d’interesse


passaggio tratto dalla  sentenza   numero 234 del 30 aprile   2013  pronunciata dal Tar Calabria, Reggio Calabria

ex art 48_è dalla esplicita richiesta e non dall'aggiucazione che decorrono i dieci giorni per evitare escussione della polizza cauzioni provvisoria

ATTENZIONE _

PER IL COMPUTO DEL TERMINE PERENTORIO DI CUI ALL'ARTICOLO 48 DEL CODICE DEI CONTRATTI BISOGNA TENER CONTO DELLA DATA DI RICEVIMENTO DELL'ESPLICITA RICHIESTA E NON DI QUELLA DELL'AGGIUDICAZIONE DEFINITVA

è agli atti l’avvenuta comunicazione dell’aggiudicazione, ma, così come rappresentato dalla controinteressata, non risulta effettivamente prodotta alcuna richiesta ex art. 48 cit. specificamente rivolta all’impresa aggiudicataria affinchè quest’ultima produca la documentazione a comprova dei requisiti.

Si deve precisare, a tale riguardo, che “l'art. 48, d.lg. n. 163 del 2008 è preordinato ad assicurare il regolare e rapido espletamento della procedura di gara e la tempestiva liquidazione dei danni prodotti dall'alterazione della stessa a causa della mancanza dei requisiti da parte dell'offerente, di modo che esso risulta strumentale rispetto all'esigenza di garantire imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa. Tale disposizione richiede, dunque, che le imprese sorteggiate "comprovino" entro dieci giorni dalla data della richiesta il possesso dei requisiti di capacità economico finanziaria e tecnico organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito. La sanzione conseguente alla mancata produzione della prova sul possesso dei requisiti ovvero ad una documentazione che non confermi detto possesso (o non comprovi le dichiarazioni in precedenza rese) è l'esclusione dalla gara (con conseguente incameramento della cauzione provvisoria e segnalazione all'Autorità garante per i provvedimenti di sua competenza)” (TAR Lazio, III, 7 luglio 2012, nr. 6182).

Attesa la natura di tale prescrizione e le conseguenze della mancata o insufficiente produzione documentale, è necessario attribuire alla disposizione in esame il pieno significato evincibile dalla sua formulazione testuale, così che non può non ritenersi che i termini perentori per l’offerta della documentazione a dimostrazione dei requisiti autodichiarati in sede di gara abbiano decorrenza dalla “richiesta” a tal fine formulata dalla S.A., che va intesa come specifica ed inequivoca manifestazione di volontà del Seggio (a natura necessariamente ricettizia) ed alla quale non può equipararsi la mera comunicazione dell’aggiudicazione (che ha natura e finalità solamente informativa).
Invero, in giurisprudenza si riconosce che “legittimamente il disciplinare di gara può far decorrere il termine di 10 giorni per la documentazione dei requisiti di capacità tecnica ed economica, di cui all'art. 48, d.lg. n. 163 del 2006 dall'arrivo, documentato dal rapporto di trasmissione, di una comunicazione via fax ai concorrenti” (T.A.R. Trieste Friuli Venezia Giulia sez. I, 08 novembre 2007, n. 720) e tale circostanza ricorre anche nell’odierna fattispecie (vedasi punto 17, pag. 30 del disciplinare CIG 4273133CE4 ove risulta che: “la documentazione da produrre ed il relativo termine di presentazione verranno tempestivamente elencati e richiesti per fax seguito da comunicazione scritta”)


passaggio tratto dalla  sentenza   numero 234 del 30 aprile   2013  pronunciata dal Tar Calabria, Reggio Calabria

venerdì 24 maggio 2013

sanzioni civili indirette sono misure afflittive di carattere patrimoniale applicate dall'autorità giudiziaria

LA CATEGORIA DELLE SANZIONI CIVILI INDIRETTE SONO QUALIFICATE COME MISURE AFFLITTIVE DI CARATTERE PATRIMONIALE PREVISTE DALLA LEGGE ED APPLICATE DALL’AUTORITÀ GIUDIZIARIA.

LE SANZIONI CIVILI INDIRETTE, COSÌ COME LE PENE PRIVATE, PRESUPPONGONO LA VIOLAZIONE DI UNA REGOLA MA LE PRIME SI DISTINGUONO DALLE SECONDE PERCHÉ LA SANZIONE VIENE INFLITTA DAL GIUDICE E NON DALLA STESSA PARTE PRIVATA (COME INVECE AVVIENE PER LE PENE PRIVATE)

Come è noto la dottrina, prevalentemente di matrice civilistica, ha individuato nell’azione risarcitoria lo strumento per ottenere il risarcimento del danno collegato all’inadempimento di un’obbligazione (c.d. responsabilità contrattuale) o all’esistenza di un danno ingiusto cagionato da un fatto doloso o colposo ex articolo 2043 c.c. (c.d. responsabilità aquiliana) che deve essere allegato e provato (Cass., SU, 11 novembre 2008 n. 26972).
Diverso invece è il concetto di pene private che, per autorevole dottrina, sono quelle minacciate e applicate dai privati nei confronti di altri privati e che trovano la loro fonte o in un contratto – come per le misure disciplinari applicate dall’associazione agli associati o dal datore di lavoro ai lavoratori – oppure in uno status, come nel caso delle punizioni inflitte dai genitori ai figli minori. Con riferimento a tale categoria parte della dottrina ritiene che esse non possano trovare riconoscimento nel nostro ordinamento perché sarebbero in contrasto con il principio di uguaglianza, mentre altri autori, pur sottolineandone il carattere eccezionale, reputano utile tale istituto perché idoneo ad integrare il sistema risarcitorio basato esclusivamente sulla riparazione del pregiudizio effettivamente subito e tendenzialmente impermeabile a qualsiasi valutazione di tipo sanzionatorio.

Seppure non sempre tale distinzione è emersa chiaramente in dottrina, giova rammentare che gli studiosi hanno elaborato anche la categoria delle sanzioni civili indirette qualificate come misure afflittive di carattere patrimoniale previste dalla legge ed applicate dall’au-torità giudiziaria. Le sanzioni civili indirette, così come le pene private, presuppongono la violazione di una regola ma le prime si distinguono dalle seconde perché la sanzione viene inflitta dal giudice e non dalla stessa parte privata (come invece avviene per le pene private).
Infine, appare necessario qualche breve cenno alla categoria dei danni punitivi, che negli ordinamenti di stampo anglosassone hanno lo scopo di punire il danneggiante per un fatto grave e riprovevole aggiungendosi alle somme riconosciute al danneggiato per risarcire il pregiudizio effettivamente subito. In questo caso nel giudizio risarcitorio il giudice, dopo avere accertato l’esistenza di un effettivo pregiudizio subito dal danneggiato, condanna l’autore dell’illecito al pagamento di una somma ulteriore a titolo “punitivo” sia per sanzionare il suo comportamento sia per dissuadere gli altri consociati dal tenere condotte analoghe (la c.d. funzione general-preventiva svolta dalla pena nel diritto penale). Come è noto l’opinione tuttora prevalente esclude che nel nostro ordinamento possano avere cittadinanza giuridica i danni punitivi e conseguentemente la Corte di cassazione ha sempre rigettato le istanze di delibazione delle sentenze straniere che prevedevano una condanna al pagamento di somme di denaro a tale titolo (Cass., 19 gennaio 2007 n. 1183; Cass., 8 febbraio 2012 n. 1781)

a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla decisione  numero 424 del 30 aprile 2013   pronunciata dalla Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana

no alla condanna a titolo di danni punitivi _nemmeno se limitata ai casi di dolo o colpa grave

PER IL COLLEGIO LA TESI CHE RICONDUCE L’ARTICOLO 114, COMMA 4, LETT. E) C.P.A. ALLA CATEGORIA DEI DANNI PUNITIVI NON CONVINCE: È DUBBIO CHE SIFFATTA TIPOLOGIA DI DANNI POSSA TROVARE INGRESSO NEL NOSTRO ORDINAMENTO
 ANCHE NEGLI ORDINAMENTI DI STAMPO ANGLOSASSONE, LA CONDANNA A TITOLO DI DANNI PUNITIVI È LIMITATA AI CASI DI DOLO O COLPA GRAVE, LADDOVE LA NORMA IN QUESTIONE NULLA PREVEDE AL RIGUARDO

<< Art. 114. Procedimento
1. L'azione si propone, anche senza previa diffida, con ricorso notificato alla pubblica amministrazione e a tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si tratta; l'azione si prescrive con il decorso di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza.
2. Unitamente al ricorso è depositato in copia autentica il provvedimento di cui si chiede l'ottemperanza, con l'eventuale prova del suo passaggio in giudicato.
(comma così sostituito dall'art. 1, comma 1, d.lgs. n. 195 del 2011)
3. Il giudice decide con sentenza in forma semplificata.
4. Il giudice, in caso di accoglimento del ricorso:
    a) ordina l'ottemperanza, prescrivendo le relative modalità, anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l'emanazione dello stesso in luogo dell'amministrazione;
    b) dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del giudicato;
    c) nel caso di ottemperanza di sentenze non passate in giudicato o di altri provvedimenti, determina le modalità esecutive, considerando inefficaci gli atti emessi in violazione o elusione e provvede di conseguenza, tenendo conto degli effetti che ne derivano;
    d) nomina, ove occorra, un commissario ad acta;
    e) salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo.>>
Venendo al merito dell’appello, recente dottrina ha evidenziato la necessità di rivisitare i tradizionali insegnamenti perché nel nostro ordinamento esistono già delle previsioni normative che prevedono la condanna al pagamento di una somma di denaro senza collegarla all’accertamento di un danno effettivamente subito: l’articolo 125 d. lgs. 10 febbraio 2005 n. 30, oltre al pregiudizio subito dal danneggiato, fa riferimento ai “benefici realizzati dall'autore della violazione” e, sotto altro aspetto, l’articolo 158 l. 22 aprile 1941 n. 633 impone di tener conto degli utili realizzati in violazione del diritto. Tali previsioni, anche in una prospettiva di analisi economica del diritto, potrebbero generare benefici effetti sul sistema complessivamente considerato eliminando (o fortemente riducendo) la convenienza per il danneggiante a tenere certe condotte: è stato dimostrato, infatti, che il danneggiante a volte assume scientemente la decisione di tenere determinate condotte illecite e dannose perché, in considerazione degli alti costi dei processi e di una certa difficoltà per i soggetti danneggiati ad instaurare i giudizi, è per il danneggiante più conveniente risarcire chi intraprende il giudizio piuttosto che rispettare (nei confronti di tutti) la regola imposta dall’ordinamento.
Con specifico riferimento poi alla disposizione contenuta nell’articolo 114, comma 4, lett. e) c.p.a., va rilevato che la dottrina discute sulla natura della norma invocata dal ricorrente. Per alcuni autori, infatti, si tratterebbe – così come nel caso dell’articolo 614 bis, comma 1, c.p.c. («Con il provvedimento di condanna il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento») – di una forma di risarcimento forfettario e anticipato del danno da quantificare sempre con riferimento all’accertamento di un effettivo pregiudizio subito dal danneggiante. Per altri, invece, la disposizione in questione dovrebbe essere più correttamente ascritta alla categoria dei danni punitivi con la conseguente libertà del giudice di stabilire la somma da pagare senza essere vincolato dal danno subito e subendo.
Per la giurisprudenza si è innanzi a «una misura coercitiva indiretta a carattere pecuniario, modellata sulla falsariga dell'istituto francese dell'astreinte, che mira a vincere la resistenza del debitore, inducendolo ad adempiere all'obbligazione sancita a sua carico dall'ordine del giudice» (Cons. St., VI, 6 agosto 2012 n. 4523; Cons. St., V, 11 giugno 2012 n. 3397).
Per il Collegio la tesi che riconduce l’articolo 114, comma 4, lett. e) c.p.a. alla categoria dei danni punitivi non convince sia perché, per le ragioni prima esposte, è dubbio che siffatta tipologia di danni possa trovare ingresso nel nostro ordinamento sia perché, anche negli ordinamenti di stampo anglosassone, la condanna a titolo di danni punitivi è limitata ai casi di dolo o colpa grave, laddove la norma in questione nulla prevede al riguardo.
Per il Consiglio, invece, la previsione in questione si inquadra tra le sanzioni civili indirette (anche perché in tema di esecuzione di giudicato è pacifico che la posizione è di diritto soggettivo) e conseguentemente permette (ed impone) al giudice di riferirsi nella sua determinazione anche alla posizione vantata dal ricorrente.

a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla decisione  numero 424 del 30 aprile 2013   pronunciata dalla Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana

inadempimento obbligazioni pecuniarie_possibile applicazione sanzione civile indiretta

Una volta ricostruito l’istituto in questione in termini di sanzione civile indiretta non v’è dubbio che la previsione di cui all’articolo 114, comma 4, lett. e) c.p.a. possa (e debba) trovare applicazione, al ricorrere di tutti gli altri presupposti previsti dalla legge, anche al caso di inadempimento delle obbligazioni pecuniarie.

Non si tratta infatti di stabilire se l’ulteriore somma di denaro irrogata ex articolo 114, comma 4, lett. e) c.p.a. costituisca un indebito arricchimento del creditore ma di applicare una ‘sanzione civile indiretta’ in aggiunta ai tradizionali meccanismi di tutela del creditore rimasto insoddisfatto.

Alla luce delle considerazioni sino a qui esposte, reputando il Collegio che nel caso di specie si ravvisano tutte le condizioni per fare applicazione della norma più volte richiamata, la sentenza appellata – che, con dovizia di argomenti, ha aderito ad un orientamento espresso da alcuni TAR ma contrario all’indirizzo del Consiglio di Stato (Cons. St., IV, 31 maggio 2012 n. 3272 e prima Cons. St., V, 20 dicembre 2011, n. 6688; ma anche Cons. St., VI, 6 agosto 2012 n. 4523; Cons. St., V, 11 giugno 2012 n. 3397) – deve essere riformata per la parte in cui ha escluso l’applicazione del pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato.
Il Consiglio ritiene infatti che sussistano i presupposti stabiliti dall'art. 114 cit. per l'applicazione della sanzione e in particolare:
a)       la richiesta dell'applicazione delle sanzioni pecuniarie in questione è stata ritualmente ed espressamente formulata;
b)      non emergono profili di manifesta iniquità all'emanazione di una siffatta condanna, risultando - al contrario - che l'attività adempitiva richiesta non presenti profili di particolare complessità;
c)       non si reputano esistenti, a differenza di quanto sostenuto nelle difese della parte appellata, ulteriori ragioni ostative che potrebbero militare nel senso di impedire una siffatta pronuncia di condanna.
Conseguentemente
a)       l’amministrazione, oltre a dare doverosamente corso a quanto stabilito nella sentenza di primo grado impugnata, dovrà corrispondere una somma pari allo 0,5% di quanto dovuto per ogni mese, o frazione di mese pari o superiore a quindici giorni, di ulteriore ritardo rispetto al termine di giorni sessanta previsto nella parte dispositiva della sentenza appellata (in termini Cons. St., IV, 31 maggio 2012 n. 3272);
b)      agli adempimenti di competenza dell’amministrazione provvederà, in via sostitutiva, e con oneri a carico dell’amministrazione intimata, il commissario "ad acta" già designato dalla sentenza impugnata.


a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla decisione  numero 424 del 30 aprile 2013   pronunciata dalla Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana

La segretezza dell'offerta è garantita dalle formalità della chiusura, sigillatura e controfirma delle buste

La scelta del concorrente nelle gare d'appalto è retta dal principio fondamentale della tutela della par condicio, condizione posta nell'interesse sia dell’amministrazione che dei concorrenti. Questo principio è espressione, nel campo specifico, dell' imparzialità della PA, sancita dall'art. 97 cost.

Per questa ragione l’art. 46 comma 1-bis del D. Lgs. 163/06 prevede che “La stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di …non integrità del plico contenente l'offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte”.
La segretezza dell'offerta è garantita dalle formalità della chiusura, sigillatura e controfirma delle buste. In sede di gara, queste formalità assolvono, in generale, una triplice funzione: 1) garantire l'identità ed immodificabilità della documentazione e la segretezza, identità e immodificabilità del contenuto dell'offerta; 2) garantire la provenienza della documentazione e dell’offerta dal concorrente.
Mentre in generale nelle gare la segretezza del contenuto dell’offerta è garantita dalla busta esterna, mentre la busta interna garantisce la provenienza della documentazione contenuta all’interno della prima, occorre rilevare che, nel caso di offerta economicamente più vantaggiosa, la busta interna relativa all’offerta economica svolge anche la funzione di garantire la segretezza del suo contenuto.

a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla sentenza   numero 1006 del 19 aprile   2013  pronunciata dal Tar Lombardia, Milano

precisa scansione temporale per garantire l’autonomia del giudizio tecnico da quello economico

la valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa si svolge in due fasi distinte, la valutazione dell’offerta tecnica e di quella economica, e durante la prima la segretezza dell’offerta economica è finalizzata a garantire l’autonomia del giudizio tecnico rispetto a quello economico.
In merito l’art. 283 comma 2 del DPR 207/2010, in caso di aggiudicazione di servizi e forniture con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, prevede che “La commissione, costituita ai sensi dell'articolo 84 del codice, anche per le gare in corso ove i plichi contenenti le offerte tecniche non siano stati ancora aperti alla data del 9 maggio 2012, apre in seduta pubblica i plichi contenenti le offerte tecniche al fine di procedere alla verifica della presenza dei documenti prodotti. In una o più sedute riservate, la commissione valuta le offerte tecniche e procede alla assegnazione dei relativi punteggi applicando i criteri e le formule indicati nel bando o nella lettera di invito secondo quanto previsto nell'allegato P”.
Il successivo comma 3 prevede che “in seduta pubblica, il soggetto che presiede la gara dà lettura dei punteggi attribuiti alle offerte tecniche, procede all'apertura delle buste contenenti le offerte economiche, dà lettura dei ribassi espressi in lettere e delle riduzioni di ciascuna di esse e procede secondo quanto previsto dall'articolo 284”.
Il regolamento prevede quindi una precisa scansione temporale delle attività svolte dalla Commissione, volta a garantire l’autonomia del giudizio tecnico da quello economico, che presuppone la segretezza dell’offerta fino alla pubblicazione dei risultati dell’analisi tecnica.
La garanzia della segretezza dell’offerta è poi connessa ad una serie di adempimenti posti a carico dei partecipanti alla gara, in quanto essa è posta a favore dei medesimi.
Tra gli oneri connessi alla segretezza vi è anche quello di scegliere una busta idonea a non far trasparire facilmente il contenuto dell’offerta, come specificato dal disciplinare di gara.
Nel caso in questione il RUP, durante la prima seduta pubblica di gara, ha accertato che la busta dell’offerta economica presentata dalla ricorrente permetteva la lettura in trasparenza del suo contenuto.
Dall’esame della busta oggetto del ricorso, ancora correttamente sigillata, effettuata nel contraddittorio delle parti in camera di consiglio, risulta che la busta dell’offerta permette di vedere con certezza diversi dati dell’offerta, benché si tratti di un foglio piegato. In particolare si legge l’importo complessivo offerto. E’ chiaro quindi che prima della valutazione delle offerte tecniche la stazione appaltante, come i rappresentati delle ditte presenti, erano a conoscenza del contenuto dell’offerta economica della ricorrente, con conseguente potenziale inquinamento della valutazione tecnica, analogamente a quanto succede in caso in cui in un concorso siano valutate le prove scritte senza adeguata segretezza in merito agli autori delle stesse

a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla sentenza   numero 1006 del 19 aprile   2013  pronunciata dal Tar Lombardia, Milano

esibizione semplice fotocopia documento dentità allegato offerta, non è sufficiente per serietà dichiarazioni

Costituisce principio generale in materia di contrattualistica pubblica quello secondo cui la dichiarazione di voler partecipare ad una gara e di essere in possesso dei necessari requisiti debba recare la sottoscrizione autografa del dichiarante;

 la necessità della sottoscrizione, anche relativamente all’offerta, va ricondotta ad insopprimibili esigenze di serietà della dichiarazione medesima, nonché di certezza e regolarità della procedura, sia in ragione dell’affidamento degli altri partecipanti, sia a tutela della stessa amministrazione indicente, interlocutore finale e potenziale contraente di chi, attraverso una propria dichiarazione, e con relativa assunzione di responsabilità, attesta di trovarsi nelle condizioni di stipulare un contratto valido.

Ebbene, le descritte esigenze non possono ritenersi in alcun modo assolte attraverso la presentazione di un documento di cui la provenienza del dichiarante non sia affatto certa, quale, appunto, l’esibizione di una sua semplice fotocopia; questa, invero, consiste in una mera riproduzione di un documento, in cui, ove trattasi di una dichiarazione firmata, di fatto, finisce per mancare una vera sottoscrizione, in quanto presente solo in altro e distinto documento, ovverosia l’originale; ciò, senza pensare che la sussistenza di esigenze di assoluta provenienza e autenticità ben possono ricondursi anche alla circolazione dell’atto medesimo, potendo una mera fotocopia più facilmente sfuggire al controllo ed all’ uso diretto che ne faccia il sottoscrittore; né valga, in senso contrario, quanto obiettato da parte controinteressata a proposito dell’avvenuta allegazione del documento di identità della dichiarante/sottoscrittrice, signora Domenica B_, dal momento che l’invocata normativa di semplificazione prescrive che la dichiarazione rechi la sottoscrizione originale, rispetto alla quale la fotocopia del documento di identità assume carattere di requisito formale necessario, ma non sufficiente; nel caso di specie, risulta non contestato essere una mera fotocopia sia la sottoscrizione della dichiarazione, sia il documento di identità del dichiarante.

Ed ancora, a nulla rileva che tutta la documentazione, alla fine, sarebbe stata presentata dalla controinteressata all’esito della aggiudicazione ed in vista della stipulazione della convenzione, dal momento che, ratione temporis, in tale fase non ci si può che limitare ad un riscontro di quanto già correttamente dichiarato dal concorrente in fase di partecipazione, senza che possa essere ammessa anche la possibilità di integrare o correggere eventuali carenze o errori documentali, senza con questo violare esigenze di par condicio e trasparenza proprie della sola fase di ammissione alla procedura.

a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla sentenza   numero 2189 del 26 aprile   2013  pronunciata dal Tar Campania, Napoli

obbligo di escludere la valenza delle dichiarazioni sottoscritte da chi non era più in carica

Dagli atti di causa è emerso che tutta la documentazione a corredo dell’offerta (e nella specie: le dichiarazioni richieste dall’art.38 del D.Lgs. n.163/2006) della società controinteressata 2 s.r.l. sono state sottoscritte da un soggetto che alla data della sottoscrizione (27.2.2012) non rivestiva più la carica di Amministratore Unico della predetta società e non aveva alcun potere di rappresentarla (agendo in nome e per conto della stessa).

Come correttamente evidenziato dalla ricorrente, a nulla vale rilevare che gli oneri e le responsabilità connessi alla qualità di Amministratore non si perdono fino a quando l’atto con cui viene nominato il nuovo Amministratore non divenga opponibile ai terzi.
Ed invero l’art.2193 c.c. si limita a stabilire che l’inopponibilità ai terzi degli atti non pubblicati non può essere fatta valereesclusivamente da chi è obbligato a provvedere alla pubblicazione, restando pertanto impregiudicata la possibilità della ricorrente - che tale obbligo non aveva - di opporre alla Stazione appaltante, ed a qualsiasi altro “terzo”, la intervenuta cessazione dalla carica di Amministratore Unico (della società Controinteressata 2) del soggetto che, pur in carenza di potere, aveva sottoscritto le dichiarazioni in asserita rappresentanza della stessa.

E poiché la Stazione appaltante era effettivamente a conoscenza (essendo stata informata, prima dell’aggiudicazione definitiva, dalla stessa ricorrente) della circostanza de qua, è evidente che l’inopponibilità del fatto in questione (la intervenuta cessazione della carica da parte del soggetto dichiarante) non poteva (e non può) in alcun modo operare nei suoi confronti.
Né potrebbe invocarsi il c.d. principio della prorogatio dei poteri, in forza del quale l’Amministratore “uscente” (dimissionario o rimosso) continua a svolgere le sue funzioni fino alla sua sostituzione.
Nel caso di specie, infatti, alla data della sottoscrizione dell’offerta (e delle connesse dichiarazioni) da parte dell’Amministratore uscente, il nuovo Amministratore era già in carica (come dimostrato dalla ricorrente mediante la produzione del relativo verbale dell’assemblea).
E poiché prima della pronuncia dell’aggiudicazione definitiva, la Stazione appaltante era stata informata di ciò, non v’è ragione per ritenere che quest’ultima non avesse il ben preciso obbligo di escludere la valenza delle dichiarazioni sottoscritte da chi non era più in carica.
Per il resto è evidente che la mancata esclusione della società Controinteressata 2 ha determinato l’alterazione della media delle offerte, il che ha determinato, a sua volta, un erroneo esito del risultato finale delle operazioni di aggiudicazione.
E poiché è indiscusso che in mancanza dell’offerta della società Controinteressata 2, la ricorrente sarebbe risultata aggiudicataria, la condotta dell’Amministrazione non resiste alle dedotte censure

a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla sentenza   numero 992 del 26 aprile   2013  pronunciata dal Tar Sicilia, Palermo

il difetto del requisito della regolarità contributiva comporta legittima esclusione e inammissibilità ricorso

il requisito di cui all’art. 38, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 163 del 2006 (insussistenza, a carico dell’impresa concorrente, di “…violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali …”) implica che l’impresa sia in regola con l’assolvimento degli obblighi previdenziali ed assistenziali fin dalla presentazione dell’offerta e per tutta la durata della procedura di aggiudicazione e dell’esecuzione del contratto,

sicché il requisito deve essere posseduto già a partire dalla partecipazione alla gara – restando irrilevante un eventuale adempimento tardivo dell’obbligazione contributiva – e va conservato per tutto il tempo in cui l’impresa mantiene rapporti con l’ente appaltante fino all’estinzione del contratto,

con l’ulteriore precisazione che, poiché il d.u.r.c. si presenta come dichiarazione di scienza da collocarsi fra gli atti di certificazione o di attestazione redatti da un pubblico ufficiale ed aventi carattere meramente dichiarativo di dati in possesso della pubblica Amministrazione nonché fidefacienti fino a querela di falso, in capo alle stazioni appaltanti non residuano margini di valutazione o di apprezzamento in ordine ai dati ed alle circostanze in esso riportati, e non incombe, quindi, l’obbligo di svolgere un’apposita istruttoria per verificare l’effettiva entità e gravità delle irregolarità contributive; in particolare, è stato chiarito che anche nel testo vigente anteriormente al decreto-legge n. 70 del 2011 la nozione di “violazione grave” (contenuta nell’art. 38, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 163/2006) non è rimessa alla valutazione caso per caso della stazione appaltante, ma si desume dalla disciplina previdenziale, di modo che la verifica della regolarità contributiva delle imprese partecipanti a procedure di gara per l’aggiudicazione di appalti con la pubblica Amministrazione è demandata agli istituti di previdenza, le cui certificazioni (d.u.r.c.) si impongono alle stazioni appaltanti, che non possono sindacarne il contenuto (v. Cons. Stato, Ad. plen., 4 maggio 2012 n. 8). Nella fattispecie, quindi, non avendo la ditta ricorrente contestato (v. art. 64, comma 2, cod.proc.amm.) la circostanza della pendenza di debiti insoluti presso l’INPS di Forlì alla data del 28 giugno 2011 – secondo quanto risulta dal d.u.r.c. depositato in giudizio dall’Avvocatura dello Stato –, si presenta tale fatto in sé automaticamente ostativo all’aggiudicazione della gara alla ditta, e quindi preclusiva di qualsiasi utilità per la stessa risulta l’eventuale sua riammissione alla selezione; né, per gli stessi motivi, si può configurare un qualche pregiudizio patrimoniale ristorabile in sede risarcitoria.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile per difetto di interesse

a cura di Sonia Lazzini

passaggio tratto dalla sentenza   numero 301 del 22 aprile   2013  pronunciata dal Tar Emilia Romagna, Bologna

costituzione commissione per valutazione e offerte deve avvenire dopo scadenza termine presentazione

L’esame delle richieste delle ditte di essere invitate alla gara non doveva perciò essere effettuata dalla commissione di gara,  sia perché non vi era da compiere alcuna attività di valutazione delle offerte (che in realtà neppure esistevano), sia perché la commissione stessa non era stata nominata e non poteva neppure esserlo,


in virtù delle inequivocabili disposizioni contenute nel comma 10, dell’articolo 84, del citato Codice dei contratti pubblici, secondo cui la nomina e la costituzione della commissione per la valutazione delle offerte devono avvenire dopo la scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte: anche tale regola costituisce attuazione del principio di trasparenza ed imparzialità della procedura selettiva (C.d.S., sez. V, 10 settembre 2012, n. 4769).

legittimamente nel caso in esame l’esame delle richieste delle ditte di essere invitate alla gara in questione è stata operata dagli uffici (e dai funzionari) dell’amministrazione appaltante, a nulla rilevando che essi abbiano dovuto e potuto verificare anche la sussistenza dei requisiti di ammissione alla gara, trattandosi di attività che in ogni caso non spettava affatto alla commissione giudicatrice (delle offerte)

La lex specialis, coerentemente alle disposizioni dell’art. 3, comma 38, e dell’art. 55, comma 6, del D. Lgs. n. 163 del 2006 (a mente delle quali le procedure ristrette sono caratterizzate dal fatto che ogni operatore può chiedere di parteciparvi, potendo successivamente presentare un’offerta soltanto gli operatori economici in possesso dei requisiti di qualificazione previsti dal bando, invitati dalla stazione appaltante), ha previsto una fase di pre - qualificazione, volta ad individuare le imprese da invitare alla gara, ed una successiva fase di gara (vera e propria), imperniata sulla presentazione delle offerte da parte delle imprese (invitate e qualificate), con successiva aggiudicazione del servizio in favore di chi avesse formulato l’offerta economicamente più vantaggiosa.
E’ stato evidenziato (sia pur con specifico riguardo alla licitazione privata, ma il principio è applicabile anche al caso di specie) che “…la prequalificazione ha natura di autonoma fase sub procedimentale funzionalmente diretta ad una prima selezione dei soggetti da invitare, con la conseguenza che l’individuazione in capo alle imprese partecipanti dei requisiti sostanziali richiesti dalla lettera di invito non può essere anticipata alla preliminare fase della preselezione, ma deve essere riferita al momento della vera e propria individuazione del contraente, ossia al momento dell’aggiudicazione dell’appalto” (C.d.S., sez. V, 23 gennaio 2012, n. 266).

A cura di Sonia Lazzini

Passaggio tratto dalla decisone numero 2282  del 24 aprile  2013 pronunciata dal Consiglio di Stato

generale obbligo custodia documenti gara _è assolto adozione ordinarie garanzie conservazione atti

nelle gare di appalto l’amministrazione ha la piena disponibilità e l’integrale responsabilità della conservazione degli atti di gara, cui in corso del procedimento l’interessato non può subito accedere,

giusto quanto stabilito dall’art. 13, comma 2, del D.lgs. n. 163 del 2006, e che spetta quindi alla stessa, ma solo a fronte di una seria e non emulativa allegazione presuntiva dell’interessato circa l’effetto di non genuinità degli atti stessi e fermo il diritto d’accesso, di dar idonea contezza dell’efficacia dei metodi di custodia in concreto adoperati, a tal fine dimostrandola non solo con il verbale (che di per sé ha fede privilegiata), ma pure con ogni idoneo mezzo di prova

Le anomalie che devono quindi essere quantomeno allegate per dimostrare un interesse non emulativo alla custodia dei plichi possono ragionevolmente ricondursi all’eccessiva durata delle operazioni di gara, all’inversione dell’ordine di valutazione tra offerta tecnica ed economica (Consiglio di Stato, Sez. V, 28 marzo 2012, n. 1862), alla sottrazione di un documento di gara ad opera di ignoti ovvero alla presenza di effettivi, puntuali e circostanziati elementi di fatto, idonei a poter essere apprezzati come ragionevoli o non illogici e arbitrari indizi o sintomi di una possibile manomissione dei documenti di gara

in presenza del generale obbligo di custodia dei documenti di una gara pubblica da parte della stazione appaltante è da presumere che lo stesso sia stato assolto con l’adozione delle ordinarie garanzie di conservazione degli atti amministrativi, tali da assicurare la genuinità ed integrità dei relativi plichi, così che la generica doglianza, secondo cui le buste contenenti le offerte non sarebbero state adeguatamente custodite, è irrilevante allorché non sia stato addotto alcun elemento concreto, quali anomalie nell’andamento della gara ovvero specifiche circostanze atte a far ritenere che si possa esser verificata la sottrazione o la sostituzione dei medesimi plichi, la manomissione delle offerte o un altro fatto rilevante al fine della regolarità della procedura.
A tale ragionevole e condivisibile impostazione si è attenuta questa stessa Sezione anche con la recentissima sentenza n. 978 del 18 febbraio 2013, dalla quale non vi è motivo di discostarsi, con la quale è stato significativamente ribadito che: “a) la mancata dettagliata indicazione nei verbali di gara delle specifiche modalità di custodia dei plichi e degli strumenti utilizzati per garantire la segretezza delle offerte non costituisce di per sé motivo di illegittimità del verbale e della complessiva attività posta in essere dalla commissione di gara, dovendo invece aversi riguardo al fatto che, in concreto, non si sia verificata l’alterazione della documentazione; b) la mancanza delle citate cautele assume solo un ruolo indiziario rispetto alla dimostrazione di concreti elementi che facciano dubitare della corretta conservazione, occorrendo comunque provare che vi sia stata una violazione dell’integrità e segretezza dei plichi; c) se il verbale indica che i plichi sono conservati in luogo chiuso, senza ulteriori specificazioni, e se in ciascun verbale si dichiara che i plichi pervenuti risultano tutti integri e debitamente sigillati e firmati sui lembi di chiusura, facendo il verbale prova fino a querela di falso, si deve escludere sia avvenuta una manomissione e che le operazioni di gara siano illegittime; d) una esegesi integrativa dell’art. 78 del Codice dei contratti pubblici consente di definire una più precisa distribuzione dell’onere della prova tra i due soggetti del rapporto procedimentale, tanto affinché tale integrazione non si risolva nella distorsione dei canoni di logicità e di buon andamento dell’attività amministrativa anche nei casi di evidenza pubblica, se non addirittura, in un controllo meramente formale della verbalizzazione, più che del riscontro oggettivo dei fatti…”

A cura di Sonia Lazzini

Passaggio tratto dalla decisone numero 2282  del 24 aprile  2013 pronunciata dal Consiglio di Stato

non sono eccessivi due mesi per il compimento delle operazioni di valutazioni delle offerte

le garanzie di imparzialità, pubblicità, trasparenza e speditezza dell’azione amministrativa, postulano che le sedute di una commissione di gara debbano ispirarsi al principio di concentrazione e continuità

conseguentemente, la valutazione delle offerte tecniche ed economiche deve avvenire in una sola seduta, senza soluzione di continuità, al fine di scongiurare possibili influenze esterne ed assicurare l’assoluta indipendenza di giudizio dell’organo incaricato della valutazione stessa, è stato tuttavia anche sottolineato che tale principio è soltanto tendenziale (C.d.S., sez. V, 25 luglio 2006, n. 4657; sez. IV, 5 ottobre 2005, n. 5360) ed è suscettibile di deroga, potendo verificarsi situazioni particolari che obiettivamente impediscono l’espletamento di tutte le operazioni in una sola seduta (C.d.S., sez. V, 23 novembre 2010, n. 8155; 3 gennaio 2002, n. 5; 16 novembre 2000, n. 6388), dovendo in questo caso essere minimo l’intervallo tra una seduta e predisporre adeguate garanzie di conservazione dei plichi (C.d.S., sez. III, 31 dicembre 2012, n. 6714).

Nel caso in esame l’attività di valutazione delle offerte tecniche presentate dalle imprese partecipanti alla gara è durata meno di due mesi, in particolare dal 30 novembre 2011 (verbale n. 1) al 27 gennaio 2012 (verbale n. 13, laddove nella seduta del 24 febbraio 2012, verbale n. 14, si è proceduto all’apertura delle buste contenente l’offerta economica), periodo che, anche con riferimento alla complessità delle operazioni svolte (di cui i singoli verbali delle sedute danno ampiamente atto), non può essere considerato eccessivo, arbitrario o illogico (anche in ragione dell’intervenuta necessità di sostituire due componenti della commissione), a nulla rilevando che i singoli verbali non contengano alcuna menzione circa la necessità di aggiornare di volta in volta l’attività della commissione, fissando una nuova riunione; né d’altra parte è logico e ragionevole ritenere che le complesse e articolate operazioni di valutazione delle offerte (indicate nei verbali della commissione) potessero effettivamente esaurirsi in un’unica riunione.
Non sussiste pertanto la dedotta violazione del principio di concentrazione e continuità delle operazioni di valutazione, tanto più che, come è già stato evidenziato, dal solo numero delle sedute della commissione di gara non possono farsi discendere sospetti circa la regolarità delle operazioni di valutazione

A cura di Sonia Lazzini

Passaggio tratto dalla decisone numero 2282  del 24 aprile  2013 pronunciata dal Consiglio di Stato

modalità organizzazione costituiscono elementi oggettivi efficienza ed efficacia proposta progettuale offerta

In realtà, se non può dubitarsi dell’esistenza di un generale principio regolatore delle gare pubbliche che vieta la commistione fra i criteri soggettivi di qualificazione e quelli oggettivi di valutazione delle offerte,

principio la cui ratio deve essere rintracciata nell’esigenza di assicurare la più ampia possibilità di partecipazione delle imprese alle gare attraverso la rigida separazione tra requisiti di partecipazione e requisiti dell’offerta e dell’aggiudicazione (ex multis, C.d.S., sez. III, 18 giugno 2012, n. 3550; sez. VI, 4 ottobre 2011, n. 5434; sez. V, 8 settembre 2010, n. 6490), tale principio non può tuttavia ritenersi eluso o violato allorché gli aspetti organizzativi non sono destinati ad essere apprezzati in quanto tali, in modo avulso dall’offerta, come dato relativo alla mera affidabilità soggettiva, ma piuttosto quale garanzia della prestazione del servizio secondo le modalità prospettate nell’offerta, come elemento cioè incidente sulle modalità esecutive dello specifico servizio e quindi come parametro afferente alle caratteristiche oggettive dell’offerta (C.d.S., sez. V, 23 gennaio 2012, n. 266).
Nel caso in esame, diversamente da quanto pur suggestivamente prospettato dalla ricorrente, i ricordati elementi di valutazione dell’offerta non ineriscono a requisiti soggettivi delle imprese, facendo invece riferimento alle concrete modalità di esecuzione della prestazione e riguardano elementi oggettivi dell’offerta.

Infatti, come convincentemente osservato dall’amministrazione comunale, nel servizio di assistenza domiciliare la dimensione territoriale individua l’indefettibile substrato fattuale in cui le problematiche sociali si sviluppano e devono trovare adeguata risposta, così che le relative modalità di organizzazione dell’impresa non costituiscono indici soggettivi di un’astratta capacità di fornire il servizio, bensì concreti elementi oggettivi di efficienza ed efficacia della proposta progettuale offerta; ad identiche conclusioni deve giungersi per quanto riguarda i criteri di valutazione concernenti “modalità, strumenti e professionalità utilizzati per la selezione e la sostituzione del personale” e “modalità, strumenti e professionalità utilizzati per l’attenzione agli aspetti emotivi degli operatori”, con cui la lex specialis ha inteso apprezzare non già l’astratta idoneità delle imprese di eseguire il servizio sociale, quanto piuttosto le concrete risorse umane e le relative obiettive modalità di selezione (in ragione delle effettive situazioni di disagio delle persone), quali elementi significativi dell’offerta presentata e sintomatici della sua completezza, affidabilità ed effettiva capacità di garantire l’adeguato soddisfacimento dei bisogni di cui al servizio oggetto della procedura di affidamento.
Anche il “sistema di monitoraggio sullo svolgimento dei servizi, modalità, strumenti per il controllo e la valutazione della qualità delle prestazioni con esposizione degli indicatori quali-quantitativi adottati, con particolare riferimento agli strumenti utilizzati per la verifica e il controllo della qualità delle relazioni con gli utenti e con le famiglie” costituisce evidentemente uno strumento di controllo della concreta prestazione del servizio indicato nell’offerta e non un requisito soggettivo di capacità professionale, sotto il profilo tecnico – operativo, dell’impresa offerente; così come il numero minimo di operatori stabili dell’impresa offerente addetti all’attività di servizio di assistenza domiciliare alla data del 31 maggio 2011 non è elemento di qualificazione dell’impresa stessa, ma indice di affidabilità e realizzabilità dell’offerta.

A cura di Sonia Lazzini

Passaggio tratto dalla decisone numero 2282  del 24 aprile  2013 pronunciata dal Consiglio di Stato

mercoledì 22 maggio 2013

"Rischio" delle cauzioni negli appalti pubblici: come evitare esclusioni ed escussioni

Le numerose recenti modifiche al codice dei contratti e le interpretazioni, non sempre di facile lettura, che i nostri giudici amministrativi ci offrono, obbligano gli operatori del ramo cauzioni a costruirsi una particolare conoscenza per tutte le problematiche inerenti gli affidamenti e le aggiudicazioni negli appalti pubblici

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Presentazione
Una recente statistica europea colloca il mondo appalti come rappresentativo del 19% del PIL di uno stato membro.
L’auspicato sblocco del pagamento dei debiti della PA, accanto ad una flessibilità nell’applicazione del c.d. patto di stabilità, fanno pensare, e sperare, nell’immediato futuro, in un considerevole aumento delle procedure ad evidenza pubblica, quale uno dei volani della crescita nel nostro Paese.
Di conseguenza, un attento consulente assicurativo cauzioni, per restare al passo con i tempi e le condizioni dettate dalle Stazioni appaltanti, deve avere, attraverso una precisa intepretazione della giurisprudenza, il polso della situazione e già da una prima lettura della lex specialis di gara, identificare quali sono le modalità di presentazione richieste della provvisoria e quali i rischi di escussione, facilmente evitabili.
Inoltre, dopo l’introduzione del principio della tassatività delle cause di esclusione, sebbene all’inizio della sua applicabilità la giurisprudenza si sia trovata concorde nell’escludere un ambito di discrezionalità pubblica, oggi, a due anni di distanza, l’orientamento giurisprudenziale è molto meno rigido e di conseguenza bisogna avere in mente i ben precisi punti fermi dettati dai nostri Tar territoriali.

Programma
http://www.assinews.it/dettagli_corsi.aspx?id=54&nome=%22Rischio%22+delle+cauzioni+negli+appalti+pubblici%3a+come+evitare+esclusioni+ed+escussioni